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Figliuolo cade sulla terza dose, Italia dietro gli altri grandi Paesi

Franco Bechis
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La colpa non è solo sua, ed è sicuramente sulle spalle del governo guidato da Mario Draghi che da due mesi a questa parte ha cambiato troppe volte norme e obiettivi anti-covid. Ma è un dato di fatto che il generale Francesco Paolo Figliuolo è scivolato nelle classifiche europee sulla terza fase di vaccinazione nella parte bassa della classifica, ottenendo un non lusinghiero 17° posto in Europa nella percentuale di popolazione raggiunta dal booster proprio in mezzo al boom dei contagi Omicron. È proprio grazie a quella posizione in classifica che fu messo alla porta nella fase uno il predecessore, Domenico Arcuri. Secondo la mappa dell’Ecdc l’Italia con il 32,20% della popolazione complessiva raggiunta dal richiamo vaccinale si piazza esattamente dietro l’Ungheria di Victor Orban, che alla stessa data del 14 gennaio aveva distribuito il richiamo vaccinale al 33,60% della popolazione. Ma davanti all’Italia ci sono – e non di poco- tutti i grandi paesi europei con la eccezione della Spagna, che è piuttosto indietro. La Germania è a quota 43%, la Francia subito sopra con il 45,3%, l’Austria al 47,8%, il Belgio al 49,11%, l’Irlanda al 49,5%, la Danimarca addirittura al 53,90%. E se sul podio troviamo paesi piccoli come Malta (54,2%) e l’Islanda (57%), a battere tutti per ritmo di vaccinazioni ancora una volta è la Gran Bretagna del contestato Boris Johnson, che con il 63,30% della popolazione complessiva che ha già ricevuto la terza doppia l’Italia.

Il tocco magico di Figliuolo che su prima e seconda dose si era trovato in cima alla classifica europea, e in alcuni momenti addirittura sul podio, si è dunque smarrito proprio quando ce ne sarebbe stato più bisogno. Per un certo periodo sono mancate le dosi dei vaccini giusti: ovviamente è più facile vincere una certa resistenza che tutti abbiamo verso l’ennesima iniezione se si propone una nuova dose identica alle due che si è già ricevute. Ma per la scarsità di approvvigionamenti Pfizer per molte settimane è stato offerto al posto un vaccino Moderna che non pochi hanno rifiutato rimandando la scelta a momenti migliori, visto che il green pass era valido. Il resto lo ha provocato proprio il governo Draghi che questo autunno è sembrato davvero senza bussola su uno die due grandi compiti che prima il capo dello Stato Sergio Mattarella e poi il Parlamento aveva assegnato (l’altro è il lavoro sul Pnrr). Sulle terze dosi si è partiti in gran ritardo rispetto ad altri paesi, non avendo compreso le autorità sanitarie quel che già in estate era chiaro in Israele: gli effetti della seconda dose si stavano esaurendo assai in fretta, dopo una manciata di mesi dalla puntura. Anche per non essere stato allertato in tempo utile dal Comitato tecnico scientifico, che anche nella nuova versione è più attento alla immagine pubblica dei singoli componenti e ai desiderata del governo che alla necessità di fornire all’esecutivo un vero parere scientifico indipendente, Draghi (e Figliuolo che da lui riceve istruzioni) ha puntato soprattutto sulla platea dei non vaccinati. Prima sui bambini- e sembrava che la campagna vaccinale avesse solo loro al centro- poi sui no vax introducendo nuove versioni dei green pass ed estendendo via via l’obbligo vaccinale nella certezza di smuovere quella platea granitica. Fino ad oggi sono stati due clamorosi insuccessi: i genitori non sono corsi a vaccinare i loro bambini, tanto più che si moltiplicavano pareri di autorevoli esperti in tv che o sconsigliavano apertamente di farlo o spiegavano che comunque era l’ultima delle necessità e serviva grande cautela vista la delicatezza dei soggetti. E come spiega bene Dario Martini oggi in altro articolo del giornale, perfino l’obbligo vaccinale per gli ultracinquantenni e la prospettiva di perdere lo stipendio non li ha smossi più di tanto: fino ad oggi ha accettato la prima dose qualche migliaio di quella platea. Forse i numeri cambieranno nelle prossime due settimane, ma certo la corsa immaginata non si è verificata.

Così si è persa di vista l’esigenza di proteggere anche chi aveva ricevuto il vaccino da troppo tempo ritornando suo malgrado in una condizione di fragilità di cui per altro non aveva alcuna coscienza, non essendo stato informato adeguatamente dalle autorità sanitarie. L’Italia partendo assai in ritardo sugli altri paesi ha invitato a fare la terza dose chi aveva ricevuto la seconda da almeno sei mesi. Nel giro di qualche settimana si è capito dal numero dei vaccinati a ciclo completo che finivano comunque in ospedale dopo avere preso il contagio, che bisognava accorciare la distanza. E si è scesi a cinque mesi. Quindici giorni dopo l’asticella è stata ulteriormente abbassata a quattro mesi. Ora dai numeri pubblicati dall’Istituto superiore di sanità con la consueta grande confusione e nuovamente un errore clamoroso (corretto poi il giorno successivo) per la prima volta si può vedere che la protezione vaccinale inizia a scendere a ritmo sostenuto a 90 giorni dalla seconda dose.
Anche per questo oltre il 50% della occupazione dei letti ospedalieri fran il 26 novembre e il 26 dicembre è stata di italiani che si erano diligentemente vaccinati, ma si erano contagiati lo stesso. I quattro quinti di questi vaccinati finiti nei guai come non doveva accadere avevano completato il ciclo base vaccinale da più di 120 giorni e non aveva ancora avuto la possibilità di ricevere la terza dose.

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