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Pierpaolo Sileri non ha dubbi: "Il peggio è alle spalle, conviviamo con il Covid"

Pietro De Leo
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Secondo l'Agenas, i posti occupati nelle terapie intensive sono in calo in 7 regioni. E in generale si registra una certa stabilità. Sottosegretario Pierpaolo Sileri, possiamo dire che stiamo per superare il picco della variante Omicron?
«Oggi (ieri per chi legge n.d.r), per il secondo giorno di fila, il numero dei ricoverati in terapia intensiva registra una flessione: è presto per dirlo, ma di sicuro dopo due mesi di aumento ininterrotto è un segnale incoraggiante. Il ritmo delle vaccinazioni, sia delle prime che delle terze dosi, cresce in maniera sostenuta, e le notizie che arrivano da paesi in cui questa ondata è arrivata prima, come il Regno Unito, ci inducono ad essere fiduciosi sul fatto che nei prossimi giorni la pressione sul sistema sanitario inizierà a diminuire».

Ragionevolmente, entro quanto tempo potremmo dirci fuori da questa ondata?
«Il picco potrebbe arrivare nella seconda o terza decade di gennaio o forse anche prima; oggi per esempio, 13 gennaio, sia il numero dei casi positivi che la percentuale di positività sul totale dei tamponi sono inferiori rispetto allo stesso giorno della settimana scorsa: sono segnali importanti, che dovranno essere confermati nei prossimi giorni ma che probabilmente ci dicono che il peggio è alle nostre spalle».

 

 

C'è un concetto chiave di questo ultimo periodo, ed è la «raffreddorizzazione» del Covid attraverso la variante Omicron. Grande contagiosità ma sintomi di minore impatto per chi è vaccinato. La pandemia ha cambiato volto?
«È prematuro affermarlo in attesa di evidenze scientifiche solide, ma i dati provenienti dagli studi condotti in Sud-Africa, nel Regno Unito, negli Stati Uniti, alcuni dei quali commentati nei giorni scorsi anche dall'Agenzia Europea dei Medicinali, indicano che questa variante è più contagiosa ma meno pericolosa delle precedenti. Questo anche e direi soprattutto grazie al fatto che trova una popolazione in larga misura vaccinata. La ragionevole speranza è che, ammesso che non si presenti una nuova variante con caratteristiche più aggressive, sia iniziato il passaggio dalla pandemia all'endemia, e che le difficoltà di queste settimane lascino presto spazio ad una fase nella quale sia più agevole la convivenza con il virus».

Stando ai dati attuali, è necessario secondo lei cambiare la comunicazione sui numeri? I contagi, che con Omicron sono in massa, generano panico e reticenza alla vita sociale.
«La comunicazione dei dati può essere migliorata fornendo intanto informazioni più dettagliate: l'obiettivo è dare gli strumenti per elaborare un'analisi ragionata e razionale che ci aiuti a capire l'andamento della pandemia, ma senza generare ansia. Per alcuni dati, come quelli sui decessi, il trend settimanale può offrire una panoramica più attendibile della situazione, perché spesso si registrano delle flessioni nei numeri, in prossimità ad esempio dei giorni festivi, in cui il sistema risente di un possibile disallineamento nel trasferimento delle informazioni. Ma è altrettanto e forse più importante arricchire i dati con ulteriori dettagli: mi riferisco al numero delle infezioni asintomatiche, così da poter distinguere tra positività all'infezione e effettivo sviluppo della malattia. O ancora, indicazioni sui ricoverati, sulla durata media delle degenze, su chi va in terapia intensiva e la relativa età media, se si tratta di persone vaccinate o meno. Il tema non è la periodicità del bollettino, ma l'approfondimento dei dati, la loro trasparenza e fruibilità».

 

 

Guardando alle prossime settimane, «ottimismo» è un termine che possiamo utilizzare?
«Ad essere sinceri io sono ottimista di natura, ma posso dire che da almeno un anno, da quando sono arrivati i vaccini, ho maturato un atteggiamento più "positivo" - passatemi il termine - verso la pandemia. Quindi dico che abbiamo ottime ragioni per guardare ai prossimi mesi con fiducia, visto che rispetto allo stesso periodo dell'anno passato siamo in una posizione decisamente migliore: abbiamo i vaccini, abbiamo dei nuovi farmaci, conosciamo il virus e sappiamo come conviverci».

 

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