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Perché gli ufficiali non fecero evacuare la Concordia, De Falco affonda Schettino

Francesco Fredella
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"Chiunque tra gli ufficiali di coperta avrebbe dovuto assumere su di sé l’onere di ordinare l’accostata. Non lo fecero perché non avevano ben capito, avevano la loro paura per il proprio ruolo e per il loro lavoro”, adesso parla il senatore Gregorio De Falco a RTL 102.5 durante Non stop news.

All'epoca dei fatti, 10 anni fa in quella tragica notte del Giglio, rivestiva il ruolo di Capitano di fregata e capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno. Fu lui a coordinare i soccorsi. Adesso riavvolge il nastro e parla di quella scellerata manovra, l'inchino, che fece avvicinare a poche centinaia di metri dalla costa del Giglio la mega nave da crociera, capitanata da Schettino. Secondo De Falco, oggi senatore della Repubblica, quella tragedia si poteva evitare. "La nave è rimasta in assetto per parecchio tempo. Finché la nave rimane in assetto, cioè dritta, è possibile ammainare le scialuppe di salvataggio con le persone e l’equipaggio a bordo senza problemi. Se si fosse proceduto immediatamente a prendere atto della situazione di cui si aveva immediata consapevolezza in realtà, prima delle 10 il comando di bordo ha piena consapevolezza che la nave va abbandonata. Perché uno degli ufficiali, Iaccarino, scende giù, constata che ci sono tre compartimenti tutti allagati, quindi che la nave non regge, non rimane a galla, la nave sta affondando. D’altra parte lo stesso comandante, nell’interlocuzione che abbiamo sentito dopo ovviamente, con il direttore di macchina chiede se non possa avviare un motore e l’altro gli risponde che c’era tutto sott’acqua. Sapevano benissimo che stava affondando", racconta. "Il terreno costruttivo di una nave impone che la nave rimanga a galla con due compartimenti contigui allagati, quella nave ne aveva tre contigui e un altro ancora, poi in realtà vedremo sono cinque, quindi quella nave andava abbandonata. Fin dall’inizio andavano avviate le procedure di emergenza, che vengono avviate solo quando io gli chiedo, molto tempo dopo, alle 21.34, quando salgo in operativa, chiedo se la nave fosse in distress, la prima delle comunicazioni. Il comando di bordo, a quel punto, ammette che la nave era in distress. Solo 45 minuti dopo l’impatto cominciano a far affluire ai punti di raccolta i passeggeri, quindi con un fortissimo ritardo, che aveva comportato che la nave andava sempre più inclinandosi”.

E poi, ripercorrendo quello che accade nella tragica notte del Giglio (che ha segnato in modo indelebile una delle tragedie più grandi della marina), dice: "La nave ricordiamo navigava a poche centinaia di metri con la prua sugli scogli, quindi in quel momento chiunque tra gli ufficiali di coperta avrebbe dovuto assumere su di sé l’onere di ordinare l’accostata". L'audio della telefonata tra De Falco e Schettino - con la frase "Salga a bordo, c***o" - ha fatto il giro della Rete. Ed ancora oggi resta tra i più cliccati. “Io non riascolto quell’audio di solito, non lo faccio mai se non quando sono costretto per circostanze come le commemorazioni. In realtà volevo attirare l’attenzione che quella fu l’ultima delle comunicazioni con il comandante, mirata soprattutto ad ottenere che lui tornasse a bordo per poter riassumere il ruolo di autorità e quindi di responsabilità che aveva abbandonato. Nel frattempo vi erano state cinque o sei altre comunicazioni in un crescendo. Fin dall’inizio ci era stato chiaro che stessero minimizzando la realtà. Quell’ultima comunicazione aveva lo scopo e il senso di far sì che potesse addirittura salvarsi anche lui con un gesto di riabilitazione: nonostante l’urto, nonostante l'abbandono nave, il ritorno a bordo e la riassunzione delle responsabilità e comunque la mitigazione degli effetti del suo agire avrebbe potuto comportare certamente una valutazione differente del suo comportamento”, conclude il senatore De Falco. 

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