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Le confessioni del numero uno di Pfizer: quarta dose e poi 10 anni di vaccini

Albert Bourla al manager di Goldman Sachs: «La protezione ormai dura pochissimi mesi. E stanno già emergendo altre varianti»

Franco Bechis
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Omicron ha spiazzato anche il numero uno al mondo nella guerra al coronavirus: Pfizer. Lo ha confessato il presidente del colosso farmaceutico, Albert Bourla, il giorno dell'Epifania durante una video conferenza con la banca d'affari Goldman Sachs. Con la variante Delta in corso infatti l'azienda aveva considerato- ha spiegato Bourla al manager della divisione ricerca di Goldman Scahs , Chris Shibutani, che glielo chiedeva- di preparare la produzione per una terza dose di vaccino in tutto il mondo e poi una rivaccinazione in autunno. Ma “ciò che complica la situazione oggi è Omicron, che ci fa chiedere se abbiamo bisogno di una quarta dose rapida prima di procedere con il piano di vaccinazioni annuali. Già oggi Omicron ha spinto a dare la terza dose non a sei mesi come era inizialmente previsto, ma a tre. E questo cambierà drasticamente il panorama”.

 

Che non è solo una questione di orizzonti, ma di capacità produttiva della stessa Pfizer che non aveva in programma una serie così ravvicinata di dosi di vaccino. Tanto più se si procede di corsa e il vaccino deve restare quello attualmente a disposizione. Bourla ha spiegato agli investitori di Goldman che “sicuramente avremo un vaccino efficace contro Omicron. La domanda è se lo useremo o no. Ci stiamo muovendo a tutta velocità e anche se non ho visto in questo momento i dati da laboratorio, sulla base di quello che abbiamo già fatto in passato posso affermare che avremo un vaccino efficace su Omicron entro la scadenza che avevamo ipotizzato: fine marzo. Non so rispondere però alla domanda se ne avremo davvero bisogno a partire dal mese di aprile. Siamo sicuramente fiduciosi che ci sarà e sarà molto efficace e che saremo nell'anno in grado di produrlo in miliardi e non milioni di dosi. Però non so se ci sarà quella necessità o altre, perché sto già vedendo emergere dopo Omicron numerose altre varianti...”.

 

Il gran capo di Pfizer parlando con investitori finanziari che devono decidere se, come e quanti soldi impiegare in azioni della sua azienda farmaceutica, ha spiegato le sue certezze e confessato anche domande a cui in questo momento non sarebbe in grado di rispondere. L'azienda era appunto organizzata per produrre destinata al mercato mondiale una terza dose e per iniziare a fine 2022 quello che sarebbe un richiamo annuale se non per tutti almeno per le fasce di popolazione più fragili per età o malattie pregresse assai simile a quello che viene regolarmente fatto per i virus dell'influenza. Ora l'emergere della necessità di una quarta dose per combattere Omicron ed eventuali altri richiami da fare in emergenza quest'anno, l'idea della vaccinazione annuale sembra spostarsi ai nastri di partenza del 2023. Ma qualche certezza Bourla ha: “Una prima è che il virus non andrà via e presumiamo che resti per un decennio. Sarà endemico ovunque, ha e avrà la capacità di creare varianti quindi vivrà, in un modo o nell'altro, insieme al genere umano per gli anni a venire. Questo è quel che crede la maggioranza degli scienziati e anche quella dei principali opinion leader. La seconda certezza che abbiamo è che la protezione immunitaria con le varianti che conosciamo e ora pare anche con Omicron, è di durata breve, sia con il vaccino che con l'infezione naturale: pochi mesi, sempre meno. Per questo si è fatta strada l'idea di una quarta dose almeno prima di procedere con la regolare vaccinazione annuale”. 

 

Il presidente della multinazionale farmaceutica ha accennato anche alla pillola contro il Covid, il Paxlovid, che sta per essere immessa sul mercato ottenendo le necessarie autorizzazioni. Ma ha raffreddato un po' gli entusiasmi, spiegando che l'efficacia sicuramente è buona e che è più gestibile del vaccino almeno sotto il profilo tecnico: potrebbero essere molti nel mondo a produrla anche in franchising non avendo le difficoltà tecniche che invece ha il Comirnaty (nome con cui è stato battezzato il vaccino Pfizer), “però non si può fare in settimane, perché la chimica richiede mesi, e noi avevamo una pianificazione a 9 mesi che per fortuna abbiamo iniziato molto tempo fa. Grazie a questo anticipo siamo potuti passare da una iniziale previsione di 50 milioni di trattamenti Paxlovid a 80 milioni e poi a 120 milioni entro la fine del 2022”. Ma siamo appunto ben lontani dai ritmi produttivi del vaccino, che ha previsione di circa 4 miliardi di dosi entro la fine del 2022. La pillola anti Covid secondo Bourla è molto costosa da produrre, ma sarà messa sul mercato a prezzi contenuti anche perché l'azienda in questo caso non deve dividere i profitti con altri partner essendo tutto nato e cresciuto solo in Pfizer.

 

Non è una frase pepata nei confronti dei soci di BioNTech con cui devono essere divisi gli utili del vaccino a Mrna, perché anzi sia quella partnership che la stessa tecnologia con cui si è affrontato il Covid saranno centrali nel futuro del marchio più noto della galassia Big Pharma. “Abbiamo fatto”, ha svelato Bourla, “una pianificazione molto dettagliata delle nostre capacità e dei settori dove potremo espanderci e avere piani con quella tecnologia sia in proprio che in partership con BioNTech, che per noi è molto preziosa. Non possiamo rivelarli in questo momento perché nulla è ancora a un livello tale da potere essere divulgato, ma le ricerche procedono e sono di ottimo auspicio”. Con i soci tedeschi si stanno mettendo a punto vaccini a Mrna per altre malattie infettive (esiste già quello per l'influenza tradizionale), come l'herpes zoster, ma anche “nel settore delle malattie rare, della medicina interna e pure nell'oncologia”. E' soprattutto quest'ultimo il vaccino che Pfizer e BioNTech stanno inseguendo per il dopo Covid: quello della immunizzazione dal cancro, che per altro i partner turco-tedeschi stavano studiando prima che esplodesse il coronavirus. 

Ma per questi c'è ancora tempo, e davanti troppe incognite del Covid e delle sue varianti che terranno occupate i laboratori del signor Bourla, un greco nato veterinario e per lunghi anni (17) parcheggiato nella insignificante divisione “Salute animale”, della Pfizer. E poi da lì arrivato rapidamente ai vertici del gruppo diventandone il signore assoluto (presidente e amministratore delegato) nel 2019, pochi mesi prima che esplodesse il virus più devastante che il mondo abbia conosciuto...
 

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