Mancano i microchip, addio macchina nuova. La previsione terribile sulla crisi scatenata dal Covid
Microchip e semiconduttori. Parole che prima venivano associate soprattutto al mondo dell'informatica e ora sono diventate più comuni. Perché chi negli ultimi mesi sta provando ad acquistare un'auto nuova, si sente rispondere che mancano questi componenti e i tempi di consegna si allungano sensibilmente.
Ma cosa succede e quanto durerà questa crisi che sta mettendo in crisi il mercato dell'automotive e non solo? C’è chi dice che finirà già nel 2022, chi si spinge fino al 2024, chi si colloca a metà e indica nel 2023 il momento in cui il mercato tornerà in equilibrio. Comunque lo si esamini il rebus della crisi dei chip non sembra essere vicino alla soluzione.
Il dato di partenza è acclarato, c’è uno squilibrio nel mercato dei semiconduttori dovuto all’esplosione della domanda provocata dalla ripresa post Covid, a cui l’offerta produttiva dei principali gruppi mondiali non riesce a far fronte nell’immediato. La soluzione è quella di costruire nuovi impianti, un processo che però non si può attuare in poco tempo. Inoltre, bisogna considerare che nel frattempo la domanda dovrebbe aumentare ancora, con ciò spostando più in là il punto di equilibrio.
A cavalcare l’onda dei chip sono sia il mercato dell’auto, dove ormai i semiconduttori sono presenti in molteplici parti, dal gruppo motore alla navigazione all’infotainment, alla strumentazione, sia gli altri prodotti come i pc, le cui vendite sono aumentate in seguito al maggior peso dello smartworking in tempi di pandemia. E ancora il settore delle telecomunicazioni con i forti investimenti nelle reti e nel cloud.
Sui tempi di risoluzione della crisi i più pessimisti sono gli analisti di Boston Consulting Group, che in uno studio sostengono come serviranno tra 2 e 4 anni per una normalizzazione della penuria di chip. Gli esperti di Bcg hanno elaborato un grafico da cui si vede che la capacità produttiva installata di microchip nel mondo dal 1990 a oggi si è già moltiplicata per 15 volte, mentre la domanda cresce con strappi improvvisi. Oggi la domanda supera l’offerta del 15% circa, un gap mai così ampio dall’inizio della crisi. Nessun altro settore come i semiconduttori, nota Bcg ha lo stesso elevato livello di investimenti sia in ricerca e sviluppo (22% delle vendite annuali di semiconduttori finali ai produttori di dispositivi elettronici) sia in spese in conto capitale (26%).
Nei prossimi dieci anni, sostiene l’analisi, l’industria dovrà investire circa 3000 miliardi di dollari solo in ricerca e sviluppo e spese in conto capitale a livello globale lungo tutta la catena del valore per soddisfare la crescente domanda di semiconduttori. Secondo lo studio di Bcg la domanda crescerà con una media del 7,7% nei prossimi due anni, a fronte di un +6,3% della capacità produttiva. La crisi potrebbe attenuarsi verso la fine del 2022 ma, prima di allora, il gap tra domanda e offerta potrebbe vivere un nuovo picco vicino a quello attuale, attorno al 15%. La previsione più ottimistica finora rimane invece quella di Lisa Su, Ceo della multinazionale Usa Amd, secondo cui lo shortage dei semiconduttori diventerà meno severo nella seconda metà del 2022.
In una recente intervista ha spiegato che la pandemia ha spinto la domanda a un nuovo livello, portando tutti i settori tecnologici alla spasmodica richiesta di un maggior numero di componenti. Il cambio di passo ha mandato in crisi la filiera produttiva, portando a una lotta per accaparrarsi le quote produttive di TSMC, Samsung e altri. «Nessuno si aspettava così tanta richiesta», ha commentato.
Sull’orizzonte del 2023 convergono invece le previsioni di Intel e Stm. «La crisi dei semiconduttori si protrarrà fino al 2023 - ha detto recentemente in un’intervista il presidente e ad di StMicroelectronics, Jean-Marc Chery - aumentare la produzione ora non è possibile. La situazione è estremamente complessa e anche nel 2022 la capacità produttiva non sarà all’altezza della domanda. La nostra industria fino allo scoppio della pandemia era organizzata in maniera molto efficiente se consideriamo che sostiene costi altissimi per investimenti e ricerca e sviluppo. Gli impianti dell’industria dei semiconduttori lavorano sette giorni su sette, 24 ore al giorno, 360 giorni l’anno, per ammortizzare i costi di macchine da diversi milioni di euro. Quindi aumentare la capacità in fretta non è semplice. Nel medio, si possono acquistare nuove macchine se si possiede lo spazio attrezzato in cui inserirle. È quello che abbiamo fatto e faremo per far fronte al boom della domanda. Ma costruire da zero un ambiente per produrre microchip richiede anni». Dello stesso tenore le ipotesi avanzate dal numero uno di Intel, il Ceo Pat Gelsinger, secondo cui «in ogni quadrimestre del prossimo anno le cose andranno sempre meglio, ma raggiungeremo un bilanciamento tra domanda e offerta solo nel 2023».
Di Intel si è parlato molto negli ultimi mesi a proposito dell’intenzione di investire in Italia nella realizzazione di un impianto di semiconduttori, che secondo le voci potrebbe essere collocato in Sicilia. Si tratta di un impegno quantificato in circa 8 miliardi di dollari, mentre la multinazionale statunitense prevede di spendere 95 miliardi per rafforzarsi in Europa. Ma tutti i gruppi hanno innestato la quarta nei propri progetti di investimento. Il maggior produttore mondiale di chip, la Taiwan Semiconductor, ha detto che spenderà 100 miliardi di dollari nei prossimi tre anni per aumentare la produzione. Samsung Electronics ha comunicato di voler aumentare di un terzo i suoi investimenti nei prossimi tre anni a oltre 205 miliardi di dollari. Lo scorso giugno anche Bosch ha inaugurato, a Dresda, una nuova fabbrica di semiconduttori, investendo 1,2 miliardi, mentre Stm sta ampliando lo stabilimento di wafers di silicio di Agrate.