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L'altra epidemia: l'Europa pronta alla gara per aggiudicarsi il vaccino anti aviaria
Dopo la gara per il vaccino contro il Covid, sta per partire la gara per il vaccino contro l'aviaria. L'epidemia di influenza dei polli, infatti, sta dilagando in tutta Europa: l'Italia, in particolare, è il Paese con il maggior numero di animali abbattuti negli allevamenti avicoli allo scopo di limitare il contagio.
«La Commissione europea sta decidendo se somministrare il vaccino al pollame domestico. Bisogna valutare il rapporto costi-benefici: se per l'Ue è più conveniente continuare a compensare gli allevatori al 50% per gli abbattimenti di milioni di animali o se è più conveniente fornire il vaccino», spiega Ugo Della Marta, direttore generale dell'Istituto zooprofilattico del Lazio e della Toscana.
«Questa epidemia sta mettendo in crisi il comparto. C'è un'intera filiera che, essendo molto stretta, rischia di stare ferma per un anno. Si pone anche un problema di approvvigionamento di uova e carne di pollo e tacchino. I prezzi di questi prodotti stanno crescendo. E pensare che il settore avicolo è uno dei pochi settori in cui il nostro Paese è autosufficiente: non importiamo dall'estero e forniamo proteine a basso costo; forse fin troppo basso, per via degli allevamenti intensivi».
«Il numero di allevamenti avicoli è aumentato irrazionalmente negli ultimi decenni - si legge nel Piano nazionale di sorveglianza per l'influenza aviaria 2021 - Per quanto riguarda le specie allevate e le tipologie produttive, la distribuzione territoriale è caratterizzata da una maggiore concentrazione di allevamenti di tacchini nella regione Veneto (in particolare la provincia di Verona), mentre gli allevamenti di galline ovaiole per la produzione di uova da consumo risultano più concentrati nelle regioni Emilia-Romagna e Lombardia». È in queste aree, in effetti, che sta dilagando il contagio.
«Il focolaio di influenza aviaria che sta colpendo in modo sempre più duro il Veneto e tutto il nordest rischia di lasciare senza reddito e senza lavoro intere famiglie in una situazione quanto più precaria per il Paese. Per questo motivo - dichiara in una nota Maria Cristina Caretta, capogruppo di Fratelli d'Italia in Commissione agricoltura a Montecitorio - ho presentato una Risoluzione in Commissione Agricoltura, in modo da impegnare il Governo a indennizzare immediatamente le aziende i cui allevamenti sono stati spazzati via dall'epidemia di aviaria a rialzarsi».
Anche il Lazio, però, non è immune dal virus. «Finora sono morti circa cento animali che si trovavano in un piccolo allevamento a Ostia Antica: una trentina- spiega il direttore generale dell'Izs Lazio e Toscana - a causa dell'influenza aviaria (il primo caso riscontrato risale al 6 novembre scorso, ndr) e una settantina sono stati abbattuti per sicurezza. Le misure di protezione e sorveglianza, le cosiddette «zone rosse», sono state revocate dalla Regione dopo un mese». «Poi il 28 novembre ci è arrivata la segnalazione di un'oca selvatica morta nel laghetto di Villa Pamphilj: la diagnosi fatta dai veterinari del nostro Istituto - spiega Dalla Marta - ha confermato che si trattava di un ceppo del virus dell'aviaria ad alta patogenicità. Dopo qualche giorno hanno trovato morto anche un cigno nello stesso laghetto. È stata quindi creata una piccola voliera che ha consentito di catturare ed esaminare 5 oche, risultate però negative al tampone. Sono episodi che destano preoccupazione».
Desta preoccupazione anche il fatto che Roma è infestata di gabbiani e che due gabbiani reali «zampegialle» in Veneto sono risultati positivi. «Potenzialmente tutte le specie dell'avifauna possono essere sensibili al virus, anche se il serbatoio principale proviene dalle anatre. Al momento, però - tranquillizza Dalla Marta - non abbiano avuto segnalazioni di contagi nelle specie inurbate, come piccioni, cornacchie o gabbiani. I piccioni, in realtà, sono gli unici refrattari al virus».
I cacciatori di avifauna non rientrano tuttavia nella cosiddetta “popolazione esposta al rischio”, sottoposta a sorveglianza sanitaria, pur entrando in contatto proprio con quegli animali selvatici riconosciuti come i principali vettori del virus. Solo nel caso in cui il volatile ucciso durante una battuta di caccia risulti non essere “apparentemente in buona salute”, secondo la valutazione dello stesso cacciatore, scattano le misure previste dai protocolli. L'unica restrizione introdotta recentemente è il divieto di usare "richiami vivi", come le anatre domestiche, proprio perché possono essere veicolo di contagio. «È incomprensibile e intollerabile questa sorta di deferenza istituzionale nei confronti della caccia – commenta Massimo Vitturi, responsabile Lav Animali selvatici – considerata un’attività esercitabile nonostante i gravi rischi sanitari connessi al maneggiamento e all’eviscerazione degli animali cacciati. Decine di migliaia di cacciatori diventano così dei potenziali focolai dai quali potrebbe essere innescata una pandemia di influenza aviaria».