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Quei magistrati "nascosti". Oltre duecento collocati nei ministeri e negli uffici legislativi

Benedetta Frucci
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Accade che, in un Paese in cui dovrebbe vigere il principio della separazione fra i poteri, un magistrato possa tranquillamente candidarsi e poi, qualora e quando lo ritenga opportuno, tornare in magistratura.

Accade poi che addirittura, egli possa, come Catello Maresca, candidato a sindaco di Napoli, mantenere il ruolo di consigliere comunale e nel contempo rientrare in magistratura.

Oppure che, come Michele Emiliano, possa governare una Regione, candidarsi alle primarie di un partito e, nel momento in cui il Csm gli vieti l’iscrizione al Pd, decidere di tirarne su uno personale.

 

Accade ancora che un magistrato, due volte sottosegretario d’area centrosinistra, possa, tornato in magistratura, giudicare un avversario politico: vedere alle voci Giannicola Sinisi e Augusto Minzolini.

Casi eclatanti di un sistema che solo a parole rispetta il principio della separazione fra i poteri, che dovrebbe essere la base di una qualunque democrazia.

Esiste poi una commistione sommersa, ma ancora più subdola e preoccupante. All’interno dei ministeri e delle Commissioni parlamentari, come capi di gabinetto, responsabili degli uffici legislativi, consulenti, sono collocati oltre 200 magistrati fuori ruolo. Perché il Consiglio Superiore della magistratura li autorizza a distaccarsi, se al contempo lancia da tempo l’allarme sul fatto che la magistratura è sotto organico, da ultimo pochi giorni fa, quando ha denunciato la mancanza di 1000 magistrati che metterebbe a rischio l’attuazione del Pnrr? E perché, se ottenere il distacco presso i ministeri è così facile, nel momento in cui una commissione d’inchiesta particolare come quella sul caso David Rossi fa richiesta di due togati, a titolo gratuito e senza che essi vengano collocati fuori ruolo, il consigliere Nino di Matteo formula un parere contrario?

 

Nel giustificare il niet emesso nei confronti del pm Patrizia Foiera del giudice Michele Romano, il dottor Di Matteo ha spiegato che l’incarico sarebbe inopportuno perché si sovrapporrebbe agli accertamenti della magistratura che, dice Di Matteo, deve apparire indipendente e imparziale. E in effetti, Di Matteo fa bene a preoccuparsi dell’immagine della magistratura nel caso David Rossi, soprattutto se fosse confermato, come ha rivelato in audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta il colonnello dei Carabieri Aglieco, che il pm Antonino Nastasi avrebbe risposto al telefono di David Rossi poco tempo dopo la sua morte e che la scena del crimine fosse stata inquinata prima dell’arrivo della scientifica.

 

Ma torniamo ai magistrati che dentro i ministeri sono stati invece collocati: tecnicamente, questi signori scrivono le leggi che, si sa, sono sempre e spesso oscure a una prima lettura. Quindi, facilmente maneggiabili. Il potere giudiziario, nei fatti, esercita il potere legislativo. E non è un caso - leggasi Palamara - che quei posti nei ministeri rientrino nel gioco di spartizione delle correnti, esattamente e non diversamente dalle altre nomine. Come denunciato dal Presidente delle Camere Penali, l’avvocato Gian Domenico Caiazza, questa commistione fra i poteri è un fatto unico al mondo. Una stortura che andrebbe risolta quanto prima anche solo per dare una parvenza di dignità e indipendenza alla politica, tanto sottomessa al potere giudiziario da appaltargli addirittura il compito di legiferare.

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