Cina a processo per il virus. Il giudice lo convoca in aula e il governo di Pechino si infuria
La Cina si può processare per il coronavirus. E non per la volontà politica del governo. Oppure per una denuncia dell’organizzazione mondiale della sanità. I pezzi grossi del mondo non hanno tanta voglia di inimicarsi il gigante asiatico.
E però è sufficiente la testa dura di un ristoratore di Viterbo, Paolo Bianchini, presidente di Mio-Italia – l’associazione di categoria – che è riuscito a ottenere dal tribunale civile della sua città il riconoscimento del buon titolo a citare a giudizio la Repubblica popolare cinese. Per gli enormi danni provocati dal coronavirus e dai ritardi del regime di Pechino. Tutto scritto in una denuncia che ha fatto il giro del mondo, da Viterbo a Roma a Pechino e ritorno con tanta di arrabbiatura del regime: «Comandiamo noi, che vogliono questi ristoratori italiani...», hanno mandato a dire a Bianchini e soci.
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Quella di Mio-Italia è una bella e drammatica storia di impegno sociale e per la giustizia. Perché la pandemia ha mietuto vittime anche sul campo economico. E i ristoratori italiani sono stati in prima fila. Il virus dagli occhi a mandorla li ha rovinati. I danni prodotti sono stati enormi, attività chiuse, personale licenziato, come fare a dimenticare periodi così drammatici... i talk show di tutte le televisioni pubbliche e private, i quotidiani e ogni genere di mezzo di informazione hanno raccontato le loro peripezie. L’Italia ha davvero solidarizzato con la loro lotta.
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Bianchini e i suoi non si sono mai arresi. Manifestazioni ovunque, battaglia ai decreti insufficienti dei due governi di Conte e Draghi, e poi hanno puntato al bersaglio grosso. Al responsabile principale della tragedia che ha investito l’Italia e il mondo intero, da est a ovest.
Da dove è partito il virus? Dalla Cina? E che cosa hanno fatto i cinesi per evitare danni al mondo intero? Nulla, hanno taciuto irresponsabilmente provocando un numero enorme di morti e il tracollo economico globale. Domande vere a cui far seguire risposte essenziali nel nome del diritto. Da questo assunto si è partiti per approdare nell’unico luogo che può rendere giustizia.
I ristoratori associati da Bianchini hanno consultato bravi avvocati e si sono rivolti al tribunale della città dove ha sede legale la loro associazione, Viterbo. Che ha detto «sì» alla loro tesi e ha fissato per il prossimo anno, il 23 novembre, l’udienza «per l’adozione dei conseguenti provvedimenti». E il regime comunista di Pechino? È stato informato di quello che sta succedendo e ha denunciato al nostro ministero della giustizia, con una risposta a metà tra l’esilarante e il vergognoso, «una lesione della sovranità della Cina». Diavolo di un Bianchini, occhio alle rappresaglie.
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È stato l’avvocato Marco Vignola a denunciare il ministero della sanità cinese. Il legale di Mio (che è l’acronimo di Movimento imprese ospitalità) ha messo nero su bianco nell’atto di citazione che il virus ha cominciato a circolare tra ottobre e novembre del 2019 e che solo il 31 dicembre successivo la Cina inviò un allarme all’organizzazione mondiale della sanità. Un mese dopo l’ emergenza e via via le prime misure di contenimento e contrasto.
Il 29 gennaio allo Spallanzani sono ricoverati due turisti cinesi. L’Italia comincia a preoccuparsi e dal giorno dopo è stato di emergenza anche in Italia come da sollecitazione dell’Oms. Poi, in un tragico crescendo, si alternano casi di focolai e provvedimenti restrittivi. Questi ultimi assunti con ritardi gravissimi legati ad una macchina organizzativa antipandemia partita tardi, proprio per il comportamento cinese. Basti pensare alla marea di Dpcm del governo Conte e ai danni procurati all’economia. E per questo, Mio Italia ha trascinato in tribunale la sanità cinese: circa 700 sono bar e ristoranti suoi associati, incorsi nei blocchi generali imposti da Palazzo Chigi. Le omissioni della Cina – afferma Mio – «hanno impedito oltre ogni ragionevole dubbio allo Stato italiano una tempestiva assunzione di provvedimenti da adottare di ordine pubblico e sanitario che sicuramente avrebbero ridotto al minimo il disagio e le conseguenze negative derivanti dal Covid-19».
La denuncia di Mio è dell’8 giugno scorso. Col fucile puntato su un Paese che ha puntato a proteggere se stesso e non il mondo dal virus che proprio dalla Cina era partito. Il 2 dicembre si è svolta la prima udienza a Viterbo. Ed è lì che si è preso atto della risposta di Pechino ad un procedimento che – come ricordato prima - «violerebbe la sovranità della Cina».
E sempre in quella sede l’avvocato Vignola ha sottolineato il diritto di procedere in contumacia. La giudice Fiorella Scarpato non ha lasciato cadere la denuncia e ha convocato la nuova udienza per il 23 novembre del prossimo anno. Ora i cinesi sanno che anche in loro assenza saranno chiamati a rispondere. E magari a rifondere danni ingenti. Nessuno può più dire di non saperne nulla.