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Greta Beccaglia, che tristezza il massacro di Giorgio Micheletti

Arnaldo Magro
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Giorgio Micheletti. È lui, suo malgrado, l'uomo da sbattere in prima pagina. Tutti, dal web alle tivù, a gettargli la croce addosso. È lui il giornalista che, da studio, conduceva mentre la sua giornalista subiva molestie ad Empoli. Lo troviamo su Canale5, in un programma del mattino. Chi in passato ha avuto dimestichezza col calcio e le tivù locali, lo riconosce benissimo. È collegato da casa e prova a spiegare la sua posizione. Non fa in tempo però a dire: «Volevo solo provare a tranquillizzarla», che viene subito rintuzzato da una collega giornalista in studio. Del resto si è parlato così tanto di questo episodio che la politica lo ha prontamente cavalcato. Da Boldrini a Fico, tutti pronti. Indignazione totale. Uomini retrogradi. Vergogna nazionale. Tutto giusto.

La molestia rimane e non vi è attenuante alcuna. Nessuna minimizzazione del gesto. Non è di questo che si dibatte però con tanta ferocia. Il colpevole sembra essere diventato lui. Giorgio Micheletti. Un giornalista può essere licenziato perché non è stato sufficientemente lucido nel gestire quella situazione? Sono stati dati giudizi su Micheletti senza conoscere assolutamente nulla di lui. Si può mettere alla stregua il molestatore con il giornalista solo perché è il pensiero dominante a volerlo? Coloro che invocano le forche caudine sarebbero stati certamente tutti pronti a prendere le difese della giornalista in una situazione simile. Tutti, senza dubbio. Sentire un uomo però, con la voce rotta: «Ho 40 anni di esperienza, non me lo aspettavo, non sono stato pronto, ho semplicemente sbagliato, ma non ho ucciso nessuno» massacrato in questo modo, come se nulla fosse, lascia un senso di grande sconforto.

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