dubbi e prime bordate
La guerra dei telefoni: non è così amichevole la scalata degli americani Kkr a Tim
Chi è pronto a lanciare un'opa da quasi 11 miliardi di euro per avere il controllo di Tim, l'ha definita “amichevole”. Ma il fondo Usa KKR ha dato dieci giorni al consiglio di amministrazione della società guidata da Salvatore Rossi e Luigi Gubitosi per dire sì o no a un'offerta che valuta il titolo circa il 50% più del prezzo di mercato alla fine della settimana scorsa. L'aut-aut, “prendere o lasciare”, di amichevole in realtà sembra avere assai poco.
Siccome stiamo parlando di una delle più grandi imprese italiane- per quanto terremotata da decenni di errori gestionali- che al suo interno ha anche una rete strategica per il paese, non è da una offerta economica più o meno generosa che si può capire l'amicizia ventilata. Che sarebbe stata assai più chiara se fosse stata accompagnata da un invito a sedersi a un tavolo comune per illustrare le linee di un piano industriale immaginato o qualcosa di simile, facendo capire anche al governo, che ne è indirettamente azionista attraverso Cdp, cosa gli americani abbiano in mente di fare con un investimento che sulla carta non sembra così profittevole. Quei piani al momento non sono pubblici, e per quel che si possa capire al momento, è possibile che il governo italiano ne sia in gran parte all'oscuro. Altrimenti non avrebbe annunciato una sorta di super comitato interministeriale (che avrà fra gli altri ovviamente il ministro dell'Economia che è azionista, ma anche il ministro Vittorio Colao che per grande parte della sua vita ha guidato Vodafone, il principale concorrente di Tim) per dare un'occhiata a un'offerta non chiarissima nelle sue premesse. KKR è un investitore internazionale, che mette soldi dei suoi azionisti in investimenti anche a medio e lungo termine che debbono essere in grado però di remunerare adeguatamente il capitale utilizzato. Che pensano di guadagnare in Tim? E come?
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La domanda non è oziosa perché lo stesso fondo Usa ha già investito a valle nel gruppo: oggi ha il 37,5% di Fibercop, che gestisce l'ultimo miglio della rete fissa Tim. Lo ha pagato 2,1 miliardi di dollari (1,8 miliardi di euro) facendosi garantire però nel contratto una remunerazione del capitale molto alta: circa il 9% per 15 anni, un rendimento oggi superiore a quello dei junk bonds. Con quell'operazione ha certificato che Tim sarebbe un investimento ad alto rischio (altrimenti non avrebbe concesso un rendimento così alto), e ancora meno si capisce perché sia interessato oggi ad acquistarla insieme ai suoi miliardi di debito che si aggirano oltre quota 20. Come pensa di ripagarsi l'esborso, cosa essenziale da fare se non nel breve almeno nel medio periodo? Secondo gli esperti del settore, le vie sono due ed entrambe hanno un costo notevole se non economico, politico e sociale per il governo italiano. La prima ipotesi è quella di procedere con uno spezzatino della società ripulendo i costi operativi eccessivi, per voi vendere quello che si piazza meglio sul mercato, fare scendere il debito e fare fruttare la Tim snella ripulita rendendola profittevole. Si rischierebbe una emergenza occupazionale di migliaia di persone, e ne pagherebbe i costi sociali ed economici il governo. La seconda strada, che si intuisce dalle intenzioni già dette, è scorporare la società della rete per apportarla a una società unica in mano al governo, trasferendo nell'operazione anche debiti e personale in esubero. A quel punto i costi sociali sarebbero in mano solo all'esecutivo, che potrebbe evitarli facendo alzare il prezzo per l'utilizzo della rete, che si trasferirebbe poi sugli utenti con l'aumento delle tariffe di tutti gli operatori.
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L'ho riassunta in poche righe, ma più o meno le strade possibili sono queste. Sembra impossibile che prima di uscire con un possibile prezzo dell'Opa gli americani non abbiano avuto colloqui con l'esecutivo italiano. Potrebbero esserci stati in gran segreto, ed è anche possibile che nelle ultime ore abbiano colto difficoltà che prima non immaginavano. Ieri qualche dubbio è circolato quando si è visto su politico.eu apparire nel cuore della notte una apertura del loro giornale on line dedicata a Mario Draghi. Il titolo era “Draghistan”, e l'articolo con un eufemismo si poteva definire ipercritico nei confronti della monocrazia imposta all'Italia dal suo premier, restringendo spazi di libertà e mettendo a rumore per questo l'intellighentia del Paese. Un articolo sorprendente, perché politico.eu è stato sempre molto carino con Draghi, anche prima che diventasse premier in Italia. Quel sito però è stato da poco acquistato dal gruppo Springer, in cui ha una partecipazione rilevante proprio il fondo Usa KKR. L'attacco a Draghi nel cuore della notte in Europa, ma in orario ancora lavorativo negli Usa, è sembrato a non pochi una sorta di avviso di garanzia al premier italiano proprio sull'operazione Tim.
Fantasia? Possibile, visto che già in passato non è corso del tenero fra Draghi e una testata del gruppo Springer come Bild. All'epoca da quelle colonne fu lanciato un siluro all'italiano che stava per diventare numero uno della Bce. Draghi si allarmò molto e come svelato a Ben Judah qualche mese fa da un loquacissimo Carlo De Benedetti, chiamò l'ingegnere-editore che si fece in quattro per combinare un incontro con la proprietà della Bild (e dopo tutto tornò a posto).
Il premier italiano ha una storia personale legatissima alle vicende di quella che oggi si chiama Tim: fu lui a guidare la privatizzazione dell'allora Stet, a trovare la formazione del criticatissimo nocciolino degli Agnelli, a dissentire di fronte alla scalata dei capitani coraggiosi, ma a piegarsi poi al volere altrui durante una drammatica riunione con il premier dell'epoca Massimo D'Alema e il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi. Draghi conosce i disastri di quella decisione e anche gli errori poi compiuti nella storia successiva con Marco Tronchetti Provera al timone. Vorrebbe mettere lui la parola fine ai guai delle telecomunicazioni italiane e ha tutta la competenza per farlo. Ma il momento è delicatissimo e particolare: non si può rischiare una bomba sociale dopo quell'Opa. I dieci giorni prendere o lasciare non sono affatto in discesa. Vedremo di sicuro grandi fuochi di artificio.