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Il dramma dei figli dell'Islam. Con l'anima divisa tra Maometto e l'Italia

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Francesca Musacchio
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A Roma circa il 20% dei residenti stranieri è di religione musulmana. Secondo uno studio Neodemos del 2017, la Capitale è la città italiana con maggiore presenza di fedeli dell’Islam che rappresentano la seconda religione dopo quella Cattolica, superando quella Ortodossa ferma a 94.000 appartenenti. Negli ultimi 15 anni, la presenza ha subito un’accelerazione con un aumento anche di moschee e sale di preghiera che si concentrano per lo più nei Municipi V e VI. Tra le comunità più numerose spiccano gli immigrati che arrivano dal Bangladesh. Una comunità operosa e tutto sommato tranquilla, spiegano fonti qualificate, ma che fatica ad integrarsi. In generale, l’immigrazione si è trasformata portando in Italia, e a Roma, non solo maschi adulti. Quindi, da immigrazione «economica» si è trasformata in immigrazione di «popolamento» con la presenza di famiglie con figli che rappresentano le seconde generazioni a cui viene imposto, in alcuni casi, da che parte stare. Una sorta di «dramma della scelta delle seconde generazioni» che vivono divise tra gli usi e i costumi dei paesi d’origine, portati avanti qualche volta con ostinazione dalle famiglie, e la società che li ospita e che presenta modelli diversi. Dalla scuola fino alle relazioni con coetanei italiani, spesso i bambini e gli adolescenti si ritrovano a dover scegliere come vivere.

 

 

Una scelta dolorosa che porta a liti e rotture con la famiglia, specie se questa non accetta il modello di vita occidentale. In questo ambiente nascono e si sviluppano la rabbia e il disagio delle seconde generazioni che a volte esplodono come nel caso della 14enne di Ostia che ha denunciato le violenze subite dalla famiglia perché ha rifiutato di indossare il velo. Altri segnali di questo disagio potrebbero essere rilevati dall’abbandono scolastico soprattutto da parte delle bambine/adolescenti di fede musulmana. A Roma sarebbero oltre 64 mila gli studenti stranieri con cittadinanza non italiana e, secondo Lenius, «gli alunni con cittadinanza non italiana sono quelli a più alto rischio di abbandono, con il 35,4% nel 2020, a fronte di una media nazionale del 13,1%. Un ambito educativo in cui la scolarità degli studenti con cittadinanza non italiana è nettamente inferiore a quella degli italiani è la scuola dell’infanzia. Solo l’83,7% dei bambini stranieri residenti in Italia frequenta la scuola dell’infanzia, contro il 96,3% dei bambini italiani, con una differenza di genere a discapito delle bambine».

 

 

Nella Capitale, inoltre, la cronaca del recente passato ha riportato alla luce episodi in cui le scelte educative da parte dei genitori sono dirette ad inviare i più piccoli a studiare il Corano presso Imam e moschee. In alcuni casi, i minori sono stati anche vittime di violenze e aggressioni per aver dimostrato scarsa capacità ( o volontà) nel memorizzare il testo sacro e la lingua araba. Per non parlare dei matrimoni combinati che in alcuni casi implicano il trasferimento forzoso delle «promesse spose» nei Paesi di origine.

 

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