Green pass falsi venduti online: il genio dell'informatica di 17 anni e il legame con gli hacker russi
Tutte le prove portavano a due medici, marito e moglie. All’inizio le indagini su un giro di green pass falsi puntavano infatti sulla coppia di sanitari. Ma la Polizia postale ha poi accertato che invece nella truffa a livello internazionale era coinvolto loro figlio di 17 anni. Un vero e proprio esperto informatico che attraverso l’applicazione Telegram vendeva in Italia la certificazione verde fasificata al prezzo di 150 euro. Ma come si è arrivati a scoprire la truffa e le estorsioni del minorenne di Rieti? Grazie alla denuncia che ha presentato una modella genovese, che si era rivolta proprio al ragazzo per ottenere un green pass contraffatto per poter frequentare la palestra poiché contraria al vaccino. Ma, una volta inviati i soldi e spediti per email anche i documenti di identità, la ragazza non ha mai ricevuto il pass tanto desiderato. Ma non finisce qui.
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La modella non ha accettato di essere stata raggirata, decidendo quindi di iniziare a contattare il minorenne per riavere indietro il denaro. Le risposte dell’indagato sono state delle vere e proprie minacce. Ed ecco arrivare la decisione della modella di rivolgersi alle forze dell’ordine che sono riusciti a risalire, seguendo il flusso dei soldi, al conto corrrente nel quale il minore versata i soldi della truffa: il conto corrente del padre che, insieme alla moglie, sono risultati totalmente estranei alla vicenda. Anzi, erano anche felici dei guadagni del figlio poiché credevano che arrivassero da vincite su giochi online. Tra l’indagato e la modella ci sono stati diversi scambi di messaggi, che sono poi finiti nelle mani degli inquirenti di Genova. «Per la tempistica entro domani pomeriggio?», domanda la donna al ragazzo. «Si». «La sera devo andare allo stadio se arriva mi risparmio il tampone». «La ricontatto una volta pronto». «Se funziona ti porto un altro cliente». Il giovano risponde: «Il nostro obiettivo è fornire un servizio di qualità veloce e automatico, anonimo e che garantisca la massima privacy. Non intendiamo fare affari con i dati dei nostri clienti e non siamo interessati in alcun modo a raccogliere dati sanitari». Dopo la truffa, però, ecco uno dei messaggi incriminati inviati da «Mario», come si faceva chiamare l’indagato nelle chat. «Non ci metto nulla a continuare a truffare usando la sua identità». Il reatino, quindi, avrebbe anche iniziato a richiedere altro denaro sotto la minaccia di denunciarla perché aveva intenzione di acquistare un green pass falso.
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La Polizia postale di Roma ha anche scoperto il tariffario: per un green passi si pagavano 150 euro, per quattro 300 euro e per sei documenti falsi 500. Il ragazzo, per le sue abilità informatiche, era diventato il referente italiano di un gruppo di pericolosi hacker russi, specializzati nella creazione di certificazioni verdi taroccate. Dopo aver ricevuto la richiesta dell’utente, comunicava dunque i dati al «collega» hacker russo e forniva le indicazioni su come procedere al pagamento. Per poter confezionare un certificato credibile, il gruppo criminale richiedeva l’invio della copia dei documenti d’identità che venivano poi utilizzati per aprire conti online, carte di credito o account presso le principali piattaforme di e-commerce o compiere altri reati. Lo studente, per rendere ancora più corposa la propria attività, acquistava applicazioni cosiddette «Bot» in grado di moltiplicare i membri di Telegram con utenti fake. Nel giro di poco tempo il giovane era riuscito a versare nel conto del genitore 20mila euro, investiti in parte in criptomonete e in parte spesi in prodotti hi-tech di ultima generazione, capi di abbigliamento, prodotti di bellezza. Si tratta soltanto dell’ultima inchiesta sugli hacker che organizzano truffe nel mondo sanitario compiendo a volte anche veri e propri attacchi informatici per rubare dati sensibili.
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Come quello avvenuto ai danni della Regione Lazio la notte del 30 luglio scorso: dopo mesi, ancora oggi ci sono disservizi per le pratiche online sul sito della Regione. Dopo questa intrusione informatica, ce ne sono state altre: una contro l’ospedale Grassi di Ostia e un’altra ai danni al San Giovanni. Per quanto riguarda il sistema di via Cristoforo Colombo, la pista investigativa dall’Italia ha portato fino in America, rimbalzando per la Germania. Gli investigatori che indagano sull’attacco hacker capace di carpire i dati di milioni di cittadini del Lazio, e di mandare in panne il sistema telematico sanitario della Regione, procedono a ritmo spedito. Si indaga fuori dai confini italiani. Ed è proprio dall’estero che sono arrivati i primi risultati. Nel mirino degli inquirenti, infatti, le reti virtuali private che sarebbero state utilizzate dai criminali informatici. Allo stato, secondo quanto riferito dalla Regione, non sarebbe stato perso alcun dato dei cittadini del Lazio, ma ancora non si sa se siano state o meno utilizzare in maniera illegale le informazioni rubate dagli hacker la scorsa estate. In base agli accertamenti della procura, sarebbero 150 i server attaccati. Un’enorme quantità di dati che potrebbe essere rivenduto sul dark web.