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Quando gli scienziati spaventavano sulla terza dose: basta con Pfizer o Moderna, ecco quale bisogna fare

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Un articolo che suonava la sveglia sulla terza dose di vaccino anti-Covid. In un intervento su Repubblica Antonio Cassone e Roberto Cauda, rispettivamente membro dell'American Academy of Microbiology (già direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Parassitarie ed immuno-mediate dell’ISS di Roma) e Ordinario di Malattie Infettive presso l'Università Cattolica di Roma, avevano evidenziato come non bisogna pensare che chi ha già ricevuto due dosi del vaccino Pfizer o quello di Moderna debba continuare a ricevere iniezioni in futuro con la stessa tecnologia e tipologia di vaccino, una strada che per ora viene seguita dal governo italiano: “Considerata l'elevata efficacia e l'accettabile profilo di sicurezza dimostrati dai due vaccini ad RNA nella vaccinazione primaria, la risposta sulla terza dose sembrerebbe ovvia: ci facciamo un'altra dose dell'uno o dell'altro di questi due vaccini, opportunamente modificati per tener conto delle varianti. Purtroppo non è così semplice e l'esperienza fatta con questo imprevedibile virus non segue le leggi di Monsieur Lapalisse”.

 

 

Gli scienziati spiegavano quindi il loro punto di vista: “Non c’è alcuna prova che ripetute iniezioni di RNA, anche se a distanza di mesi o anni, soddisfino il requisito della sicurezza, che certamente ha una asticella più alta per una vaccinazione di richiamo routinario, in persone già vaccinate, di quella che abbiamo accettato per la vaccinazione in emergenza. Ci sono invero indizi biologici, clinici e sperimentazioni nell'animale di laboratorio che ci inducono a ritenere che multiple somministrazioni di RNA, perlomeno di come questa molecola è attualmente preparata,  potrebbero non essere accettabili. La somministrazione per via sistemica di molecole di RNA viene a tutt'oggi associata, sin dalle prime applicazioni terapeutiche, a tossicità se ripetuta frequentemente anche quando, come nel caso dei vaccini, la sequenza viene modificata sia per incrementarne stabilità ed immunogenicità sia proprio per ridurne gli effetti immunotossici. Si tratta comunque di molecole che fortemente attivano il sistema immunitario, riconosciute da  una molteplicità di recettori cellulari. Mentre questo è un vantaggio per le prime dosi, se invece sono ripetute a corti intervalli possono addirittura causare una riduzione della capacità immunizzante, come sostenuto da una nota esperta del settore, Margaret Liu, già accademica ad Harvard”.

 

 

 

“Con questi presupposti - sottolineavano i due su Repubblica - un’ampia sperimentazione clinica prima dell'uso rimane d'obbligo. Dei vaccini a subunità proteica, come quello Novavax, abbiamo lunga esperienza di ripetuti richiami, anche a breve distanza (mesi) senza effetti collaterali di rilievo. Sarà difficile che questi vaccini trovino spazio adeguato come vaccinazione primaria nei Paesi, come il nostro. Il loro spazio è soprattutto pensato per quei Paesi con bassa copertura vaccinale. Per noi però il loro spazio è probabilmente quello dei richiami eterologhi. Vaccini a subunità proteiche o inattivati come due dei vaccini della cinese Sinovac sono ottimi candidati a booster eterologhi di vaccini a RNA non solo per la loro sicurezza ma anche per la semplicità della logistica, distribuzione e catena del freddo. Sembra saggio - concludevano Cassone e Cauda - non accettare come unica ed ovvia necessità che chi ha fatto un vaccino ad RNA continui a farlo negli anni”. 

 

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