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Guerra ai taxi, Mario Draghi cambia le loro licenze. Il governo vuole più concorrenza, pronte le barricate

Filippo Caleri
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Ci risiamo. Il governo Draghi gioca la carta della liberalizzazione dei taxi. Lo fa nel disegno di legge concorrenza che, ieri ha ricevuto il via libera del consiglio dei ministri. Le norme mirano ad aprire il mercato del trasporto privato ad altri operatori ma, come successo tutte le volte che un esecutivo ci ha provato, i tassisti di rivedere il loro status non hanno alcuna voglia. E anche se per ora non è chiaro in quale direzione si muoverà la revisione delle regole per le auto bianche, è già acclarato che le maggiori associazioni del settore alzeranno barricate. L’obiettivo è quello di arrivare garantire agli utenti maggiori garanzie di qualità e più concorrenza con regole più stringenti per i servizi di taxi ed Ncc, quali ad esempio Uber. Lo strumento che sarà adottato sarà la delega al governo per adottare un decreto, entro sei mesi, in materia di trasporto pubblico non di linea. A far accendere le polveri della contestazione dei tassisti sono stati i princìpi che dovrà seguire la delega e cioè la «promozione della concorrenza, anche in sede di conferimento delle licenze, al fine di stimolare standard qualitativi più elevati» e la «garanzia di una migliore tutela del consumatore nella fruizione del servizio, al fine di favorire una consapevole scelta nell’offerta».

 

 

Le nuove norme punteranno anche ad armonizzare le competenze regionali e degli enti locali in materia, al fine di definire standard nazionali e a individuare «sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità della violazione» contro chi esercita il trasporto pubblico abusivamente demandando la competenza per l’irrogazione delle sanzioni amministrative agli enti locali. Fin qui la teoria. Se però non è chiaro come il settore sarà regolato, e che che grado di apertura sarà fissato, i sindacati dei taxi sono già pronti alla mobilitazione perché ritengono «inaccettabile» l’ipotesi di introdurre «il comparto del trasporto pubblico non di linea nel Ddl concorrenza». Quesata dichiarazione di guerra stata già consegnata a Draghi con una nota congiunta di Ugl taxi, Federtaxi Cisal, Tam, Satam, Claai, Unimpresa, Usb taxi, Or.S.A taxi, Ati Taxi, Fast Confsal e Associazione Tutela Legale Taxi. Una protesta supportata dal fatto che, secondo i lavoratori, il settore ha già subìto innovazioni rilevanti. «La normativa che disciplina il settore è già stata profondamente revisionata e adeguata ai tempi nel 2019 - hanno spiegato - e ha abbondantemente superato il vaglio di legittimità della Corte costituzionale, allora presieduta dal ministro Marta Cartabia. A oggi - ha proseguito la nota - occorre solamente concludere l’iter di riforma con l’approvazione dei previsti decreti attuativi e di un Dpcm per la disciplina delle app, già nella disponibilità legislativa della Presidenza del consiglio».

 

 

Insomma i tassisti hanno già dato ma temono che venga loro chiesto un ulteriore sacrificio visto che gli interessi in gioco sono molto forti . La possibilità «che le istituzioni possano cedere alle pressioni esercitate da particolari gruppi di interesse e alle fameliche mire di grandi multinazionali che gestiscono piattaforme di intermediazione tecnologica, abbandonando così i lavoratori del settore a ricatti e sfruttamento, trasformandoli di fatto da drivers in riders, vedrà la nostra ferma e dura opposizione». Sarà ancora guerra dunque. Come nel luglio 2006 quando il ministro Bersani (governo Prodi) tentò di liberalizzare le licenze taxi senza risultato dopo le proteste. Nel 2012 ci provò anche Monti senza risultato. Ora ci prova Draghi.

 

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