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Covid, sui dati dei morti l'Iss casca nella trappola che si era teso da solo

Franco Bechis
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Dopo ben sei giorni dalla pubblicazione su Il Tempo l'Istituto superiore di sanità ha deciso di precisare i contenuti del suo clamoroso rapporto Covid 19 sui decessi aggiornato al 5 ottobre 2021 e pubblicato il giorno 19 ottobre. L'istituto presieduto da Silvio Brusaferro spiega di non avere affermato “che solo il 2,9% dei decessi attribuiti al Covid-19 è dovuto al virus. La percentuale del 2.9% (…) si riferisce alla percentuale di pazienti deceduti con positività per SARS-CoV-2 che non avevano altre patologie diagnosticate prima dell’infezione.

 

La cifra peraltro è confermata dall’osservazione fatta fin dalle prime fasi della pandemia e ampiamente riportata in diversi studi nazionali e internazionali e rapporti anche dall’Iss, che avere patologie preesistenti costituisce un fattore di rischio”. L'Iss precisa in un lungo comunicato che chi aveva tre o più patologie non sarebbe senza il virus morto in tempi brevi, ma sarebbe stato soggetto a rischio della vita più di altri anche di fronte all'insorgere di altri virus o malattie”. A differenza di tutti quelli che sono intervenuti a commentare l'articolo de Il Tempo distribuendo senza averne alcun titolo patenti di falsità completa o parziale, l'Iss non censura l'applicazione ipotetica che avevamo fatto di quella percentuale del 2,9% all'intero campione dei decessi riscontrati da inizio pandemia, arrivando al numero di 3.783 malati di Covid che non avrebbero avuto alcuna altra malattia pre-esistente. E non avrebbe potuto contestarla, perché fin dal marzo 2020 è stato proprio l'Iss a contare ogni giorno i decessi e a raccogliere un campione di relative cartelle cliniche utilizzando quei dati parziali del campione per interpretare l'intero andamento del coronavirus. Cito proprio Brusaferro, da una delle conferenze stampa del periodo iniziale, il 21 marzo 2020: “abbiamo fatto un'analisi di parecchie centinaia di cartelle cliniche che stiamo acquisendo, che però a questo punto sono un campione molto rappresentativo della realtà, e ci dice appunto di una popolazione con un'età media intorno agli 80 anni, di una presenza della letalità soprattutto in pazienti sopra i 70 o gli 80 anni, ci dice di una realtà dove purtroppo le persone che sono affette da più patologie sono quelle che più facilmente vanno incontro a decesso e ci dicono di complicanze come l'insufficienza renale e l'insufficienza respiratoria che caratterizzano la storia clinica di quelle persone...”.

 

Quello stesso giorno l'allora capo della protezione civile Angelo Borrelli snocciolò il triste bollettino di giornata, e quando si arrivò ai decessi disse con Brusaferro al fianco che assentiva: “purtroppo dobbiamo registrare oggi un incremento di 793 nuovi deceduti. Voglio ricordare ancora una volta che noi conteggiamo tutti i deceduti, e quindi non facciamo una distinzione di deceduti per e con coronavirus”. Ecco, questa storia dei morti “per” o “con” coronavirus è proprio all'origine dei rapporti Iss sui decessi, compreso quello del 5 ottobre che tanto scalpore ha suscitato. E su quel tema hanno fatto grandissimi pasticci e confusione. Tanto è che il giorno dopo le citazioni appena fatte, Borrelli diede di nuovo il triste bilancio dei morti, aggiungendo l'esatto opposto di quel che aveva detto poche ore prima: “Voglio ricordare che questi sono deceduti CON il coronavirus, NON PER il coronavirus...”. 

 

Questa confusione è stata funzionale a lungo alle politiche governative e anche ai pasticci compiuti dal sistema sanitario pubblico, che non sono stati affatto pochi. Mi ha scritto ad esempio una signora, Eleonora, raccontandomi di avere perduto il marito di 56 anni e il padre di 74 per il Covid. Sostiene che entrambi siano stati curati come migliaia di altri italiani in modo sciatto e inappropriato, vuoi perché non conoscevano le terapie migliori, vuoi perché non erano alla portata finanziaria del sistema sanitario i farmaci che sarebbero stati più efficaci. Eleonora aggiunge: “Poi però nelle cartelle cliniche hanno scritto per giustificarsi che avevano almeno due o tre patologie gravi che hanno determinato il decesso. Patologie inventate, inesistenti”. Consultatasi con altri familiari di poveretti che in quegli ospedali hanno perduto la vita, ecco l'amara scoperta: “In tutte le cartelle si trovano patologie che i pazienti non avevano”. E termina così la sua lettera: “La mia famiglia è distrutta a causa dell'incompetenza e dell'approssimazione di medici che non hanno fatto nulla. Solo ossigeno. Però loro sono a casa con le famiglie, l'Iss scrive le sue scemenze ed io, mia madre e le mie figlie (come decine di persone qui) piangiamo i nostri cari”.

Quella di Eleonora è una storia drammatica, disperata: come ho raccontato più volte anche io ho perduto mamma (che non aveva alcuna patologia) per il Covid e non posso che abbracciarla. Però questa storia solleva il dato vero, che era poi la riflessione che avevo fatto descrivendo quel nuovo rapporto sui decessi del 5 ottobre: “c'è da fidarsi dell'Iss e dei suoi rapporti? C'è scienza dietro quel lavoro e quella raccolta dati o c'è soprattutto il desiderio di conformarsi a direttive politiche che nulla che avrebbero a che fare con il lavoro di un istituto nazionale che dovrebbe essere indipendente?”. 

Ecco, il dubbio è proprio questo. Ho molte perplessità sia avendo ascoltato (e riascoltato in questi giorni) tutte le conferenze stampa dell'Iss e delle nostre autorità sanitarie, come letto e riletto i 163 verbali del primo comitato tecnico scientifico nominato allora da Giuseppe Conte e i 42 finora resi pubblici dal nuovo Cts scelto da Mario Draghi (l'ultimo è del 27 agosto scorso). La sensazione tratta è che nelle scelte operate ci sia stata assai più realpolitik che scienza. Si eseguiva quel che il decisore politico voleva, adeguando poi dati e pareri tecnici a quel che veniva richiesto. E' una pessima sensazione, ma poggia sulle solide basi di decine di episodi indubbi. Rivedendo tutte le conferenze stampa quotidiane della prima fase della pandemia mi ha colpito lo smarrimento di Brusaferro davanti a una contestazione di un collega giornalista: “Oggi a Parma è morto un professore che aveva poco più di 40 anni e non risultava essere affetto da alcuna patologia, al contrario di quel che avete sempre detto fin qui. Come se lo spiega?”. Brusaferro ammutolì dicendo di non avere abbastanza elementi. Qualche giorno dopo però tornò sull'episodio trionfante: “Vi spiego il caso di Parma perché grazie alla buona volontà dell'ospedale e alla collaborazione della Regione Emilia Romagna abbiamo ricevuto la cartella clinica: anche lui aveva due gravi patologie pre-esistenti...”. 

Ora sarà stato vero, anche se questo fiorire di malanni pre-esistenti ignoti a mogli, figlie, madri e padri è quanto meno dubbio. Ma perché Brusaferro aveva bisogno di dire sempre che chi moriva era affetto da mille altri mali? Per un motivo semplice: la direttiva governativa era quella di non spaventare gli italiani e diffondere l'idea che non si rischiava la morte da Covid 19 se si aveva meno di 60 anni e soprattutto se non si era malati da tempo. Quindi tutto veniva letto così, e quei rapporti Isis sui decessi risentivano di questo peccato originale. E l'hanno conservato anche ora, che le direttive governative sono state radicalmente cambiate: serve che tutti abbiano paura del virus, altrimenti non si corre a vaccinarsi. Oggi l'esigenza sarebbe di dire che nessuno muore CON il coronavirus, ma PER coronavirus, e che le malattie pre-esistenti poco cambiano. Ma ormai le cartelle cliniche raccolte (su cui spero vigili con rigore il Garante della privacy) avevano quei dati, che non si possono più cambiare. Magari sono falsi e tendenziosi, ma non c'è dubbio che siano lì.
 

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