Alitalia e le spese pazze, quei soldi buttati per "provare" gli alberghi
Certo, a sapere che ieri sera è stato l'ultimo giorno della sigla Alitalia sui cieli del mondo, può scappare anche una lacrimuccia. Destinata magari presto ad asciugarsi, perché quel marchio è ancora all'asta, e può essere che se lo accaparri Ita. Ma la lacrima è sacrosanta per migliaia di piloti, assistenti di volo, dipendenti delle aree commerciali, che da oggi si trovano senza posto di lavoro pur avendo grande esperienza e grandi qualità professionali.
Tocca allo Stato pensarci, e c'è anche la speranza che la loro qualità consenta se non a tutti almeno a molti di trovare un altro impiego. Lo auguriamo di cuore a tutti. Ma la storia di Alitalia non è stata costellata solo da questa qualità umana e professionale. Anzi. E' stata soprattutto la storia di un pozzo senza fondo che ha assorbito miliardi e miliardi di euro di tasse degli italiani, anche di quelli che non sono mai saliti nemmeno una volta a bordo.
Negli anni Settanta-Ottanta ha avuto vita parallela alle storture della prima Repubblica, diventando in gran segreto talvolta la lavatrice talvolta il corriere dei finanziamenti illegali alla politica, anche quelli provenienti dall'estero.
Da lì in poi è stata un condensato di pessima gestione e - bisogna dirlo - anche cogestione sindacale, e di peccati compiuti dai vari governi che si sono succeduti negli anni, con quello più grave che porta la firma di Massimo D'Alema, il capo dell'esecutivo che mandò in coma la compagnia aerea mollando il progetto di Malpensa 2000 su cui era stato costruito il futuro di Alitalia.
Per fare capire però cosa significa mala-gestione, citerò due piccoli esempi che ho raccolto dalla voce dei protagonisti in questi anni. Il primo mi fu raccontato dal solo manager degli ultimi 30 anni che riuscì a portare in utile il bilancio della compagnia di bandiera (finché non la mise ko la non scelta di D'Alema): Domenico Cempella, scomparso qualche mese fa. Nel 1996 mi raccontò di avere fatto saltare la più incredibile divisione interna che abbia mai visto in una società per azioni: quella dei tast-vin. Quasi 100 dipendenti fra piloti, hostess e assistenti di volo che avevano come unico compito il “controllo della qualità dei servizi in convenzione”. Che significava? Di fatto erano tutti recensori di una sorta di Tripadvisor interno: giravano a spese della compagnia il mondo per provare se gli hotel a 4 e 5 stelle in convenzione come i ristoranti spesso stellati valessero davvero la pena, e assegnavano il loro voto di conseguenza. Mai vista una cosa così.
La seconda me la raccontò uno stretto collaboratore di uno dei commissari straordinari della procedura Alitalia avviata dopo il 2008, il professore Augusto Fantozzi. Mi disse che trovarono in magazzino uno stock di opere d'arte di grandissima qualità: Fattori, Casorati, Depero e tanti altri nomi importanti. Invendibili però. Perché erano state acquistate come se i soldi uscissero dalle orecchie per allietare la vista dei passeggeri di prima classe. Un genio - ma nessuno sapeva il nome - pensò però di adattarle fra gli oblò, segandone il profilo per farlo entrare in quegli augusti spazi. Erano diventati frammenti di capolavori della storia dell'arte. Senza più alcun valore di mercato. Bastano questi due piccoli esempi a fare capire come la storia della compagnia fosse compromessa...