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La Serie A diventa un paradiso fiscale: in Italia le tasse dei calciatori sono le più basse d'Europa
Meno tasse per i calciatori che vengono a giocare in Italia, la Serie A è diventata una sorta di paradiso fiscale del pallone. Il primato viene svelato dal Parlamento europeo: l’Italia è uno dei Paesi europei che incentiva di più l’arrivo dall’estero dei grandi calciatori professionisti attratti da un regime fiscale che garantisce loro un’esenzione pari al 50 per cento sulla base imponibile.
È quanto emerge dallo studio intitolato «Tassare il calcio professionistico nell’Ue» pubblicato dal Parlamento Ue e richiesto dalla commissione Questioni fiscali dell’Eurocamera. Il documento offre un’analisi comparativa sui regimi fiscali nei sette Paesi che ospitano le principali competizioni calcistiche: Italia, Spagna, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Portogallo. I regimi di esenzione fiscale applicati da alcuni Paesi «consentono ai calciatori (e indirettamente ai club) di godere di una parte del loro stipendio esente da tasse» e quindi «di ottimizzare la base imponibile del reddito dei calciatori», scrivono gli autori dello studio. «È giusto dire che il regime fiscale italiano siano uno dei più attraenti per i top player stranieri», ha spiegato all’AGI il professor Robby Houben dell’Università di Anversa, tra gli autori dello studio.
Negli ultimi anni «il legislatore italiano ha modificato in modo significativo i regimi fiscali (potenzialmente) applicabili ai calciatori», si legge nello studio, con misure «concepite in modo tale che i calciatori stranieri possano beneficiarne al momento del trasferimento in Italia». Misure che vanno «principalmente a vantaggio delle superstar del calcio, che oltre al regolare reddito da salario, godono anche di entrate di provenienza non italiana».
«Il più recente regime fiscale italiano per gli espatriati - precisa ancora lo studio - consente ai calciatori di godere di una riduzione del 50 per cento sulla base imponibile e comporta quindi un significativo beneficio per la tassazione del reddito da lavoro dipendente». Le regole che oggi permettono ai calciatori stranieri in Italia di accedere a tale esenzione fiscale deriva da regole «emanate nel 2010 (per professori e ricercatori) e nel 2015 (per lavoratori e imprenditori)».
«I relativi benefici - si legge nello studio - si applicano alle persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia e si impegnano a rimanere in Italia per almeno 2 anni, che non erano residenti in Italia nei 2 anni precedenti il trasferimento e che lavorano principalmente nel territorio italiano». Il regime è stato emendato nel 2019 e «una delle principali modifiche introdotte» è che «i dipendenti e i liberi professionisti possono beneficiare del regime fiscale degli espatriati, indipendentemente dalle loro qualifiche (cioè non sono richiesti titoli di studio specifici, master o simili) o ruolo». «In relazione a ciò, il decreto ha chiarito che gli atleti professionisti possono qualificarsi come espatriati nell’ambito del regime» e «gli atleti godranno di una riduzione del 50% sul reddito imponibile».
I Paesi Bassi e la Francia - altri Paesi Ue presi in considerazione nello studio - consentono ai calciatori un’esenzione del 30 per cento. La Spagna aveva introdotto nel 2004 un regime favorevole ai calciatori provenienti dall’estero, la cosiddetta legge Beckham. «Tale regime consentiva la qualificazione come non residente fiscale per i calciatori migranti in Spagna e l’utilizzo di aliquote fiscali agevolate», ma «a partire dal 2015, il regime non può più essere applicato ai calciatori».
Poi c’è il Belgio che offre un incentivo fiscale alle società sportive «in relazione alla ritenuta alla fonte sui salari» che permette un risparmio dell’80 per cento sulla ritenuta a patto che la somma venga reinvestita dal club in attività come la formazione dei giovani calciatori. Il professor Houben, commentando i risultati dello studio da lui condotto, ha constatato «la disparità di condizioni» nei regimi fiscali applicati al mondo del calcio nell’Unione europea che si traducono in vantaggi per i campionati delle giurisdizioni che applicano sistemi tributari più "light" per i calciatori.
«Per affrontare questo problema - sottolineano gli autori dello studio - si raccomanda al legislatore di "livellare" il campo da gioco di regole e vigilanza e introdurre norme uniformi e armonizzate di buon governo per gli agenti e le squadre di calcio professionistiche», attraverso «un sistema di licenze dell’Ue (che comprenda la legislazione anti-riciclaggio), oltre ad un adeguato sistema di monitoraggio e sanzioni adeguate in caso di non conformità».