Statali, addio smart working nella Pubblica amministrazione. Ecco il decreto di Brunetta sul rientro in ufficio
Entro il 30 ottobre 2021 lo smart working per i dipendenti della Pubblica amministrazione diventerà un’eccezione. E potrà essere concesso solo se non comporterà una diminuizione dei servizi offerti all’utenza. È il principio base contenuto nella bozza del decreto ministeriale di Renato Brunetta che disciplinerà il graduale abbandono della modalità di lavoro agile adottata nel corso dell’emergenza Coronavirus.
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Il ritorno alla normalità scatterà dal 15 ottobre e da quel momento le amministrazioni avranno quindici giorni di tempo per completare il ritorno in presenza dei dipendenti. Un provvedimento che riguarderà «tutto il personale» e fin da subito coinvolgerà quello «preposto alle attività di sportello e di ricevimento degli utenti (front office e dei settori preposti alla erogazione di servizi all’utenza (back office)».
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Per evitare il formarsi di assembramenti, le amministrazioni saranno chiamate a individuare «fasce temporali di flessibilità oraria in entrata e in uscita ulteriori rispetto a quelle già adottate, anche in deroga alle modalità previste dai contratti collettivi».
Lo smart working, ribadisce il decreto ministeriale, non sarà più una modalità ordinaria della prestazione lavorativa, ma solo un’eccezione da concedersi in casi specifici. Il particolare «lo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile non deve in alcun modo pregiudicare o ridurre la fruizione dei servizi resi dall’amministrazione a favore degli utenti». Non solo. Per ogni dipendente, spiega il decreto, la quota di lavoro in presenza dovrà essere superiore a quella fornita da casa. «L’amministrazione - si legge - deve garantire un’adeguata rotazione del personale che può prestare lavoro in modalità agile, dovendo essere prevalente, per ciascun lavoratore, l’esecuzione della prestazione in presenza».
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Ancora, la prestazione in smart working sarà legata a una precisa definzione degli «specifici obiettivi» della stessa e della definizione dei «tempi di esecuzione (...) nonché delle eventuali fasce di contattabilità». L’amministrazione, da parte sua, si impegnerà a fornire adeguati strumenti tecnologici per lo svolgimento del lavoro a distanza e si doterà di «strumenti tecnologici idonei a garantire la più assoluta riservatezza dei dati e delle informazioni che vengono trattate dal lavoratore nello svolgimento della prestazione in modalità agile». Un passaggio che richiama esplicitamente il caso del dipendente della Regione Lazio che, a causa di una propria leggerezza, consentì agli hacker di entrare nel sistema sanitario regionale e di sottrarre informazioni sensibili degli utenti. Le amministrazioni, inoltre, dovranno prevedere un piano di smaltimento del lavoro arretrato accumulato nei mesi di emergenza.
Nel decreto viene citata anche la figura del «mobility manager» introdotta dal ministero lo scorso maggio, che avrà il compito di gestire gli spostamenti da casa dei dipendenti tenendo conto dell’elasticità nelle fasce di ingresso e uscita dagli uffici. E le Regioni vengono chiamate «ad adeguare tempestivamente i piani di trasporto pubblico locale alle nuove fasce di flessibilità delle pubbliche amministrazioni».
Negli scorsi giorni non sono mancate le polemiche sul rientro dei dipendenti in ufficio. In particolare la Federazione dei lavoratori pubblici (Flp) ha fatto sapere che vigilerà «sul pieno rispetto delle norme sulla sicurezza e chiederemo la conferma e l’implementazione dei Protocolli a suo tempo sottoscritti, Amministrazione per Amministrazione. Così come ci batteremo per impedire rientri indiscriminati, senza la necessaria gradualità, che non tengano conto della piena tutela dei lavoratori, a partire da quelli fragili o con particolari condizioni familiari».