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Stato-Mafia, Mario Mori e Marcello Dell'Utri assolti in appello. La Corte ribalta la sentenza di primo grado

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Cadono le accuse per gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e per l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. La Corte d’assise d’appello di Palermo ribalta la sentenza di primo grado sul processo per la presunta trattativa Stato-Mafia e assolve tutti gli imputati principali.

Se il 20 aprile 2018 la sentenza di primo grado nell'aula bunker dell'Ucciardone aveva dato ragione alla ricostruzione della procura di Palermo, dei pm antimafia che non hanno mai arretrato un millimetro sull'impianto accusatorio, il dispositivo letto nel bunker del Pagliarelli, ha rovesciato il film di tragica storia d'Italia, dal 1992 al 1994. Dopo 76 ore di camera di consiglio, la corte d'assise d'Appello di Palermo presieduta da Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania, ha emesso una storica sentenza su quello che i giudici di primo grado hanno definito "un patto scellerato" fra alcuni pezzi dello Stato e la mafia di Totò Riina e Bernardo Provenzano durante la stagione delle stragi del 1992 e 1993.

Assolti gli allora ufficiali del Raggruppamento operazioni speciali dei carabinieri il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno, in primo grado condannati rispettivamente a dodici, dodici e otto anni, assolto l'ex senatore Marcello Dell'Utri (condannato in primo grado a 12 anni) e ridotta la pena per il boss Leoluca Bagarella, l'unico rimasto in vita e dunque processabile fra i capi dei corleonesi. Da 28 a 27 anni grazie alla riqualificazione del reato in tentata minaccia al corpo politico dello Stato limitatamente al periodo precedente al governo Berlusconi. Unica conferma i 12 anni ad Antonino Cinà, il medico fedelissimo di Totò Riina che secondo l'accusa fu il messaggero fra la politica e cosa nostra (consegnò il papello di Riina) nella prima parte della presunta trattativa nel 1992 e 1993.

L'accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Sergio Barbiera e Giuseppe Fici, alla fine della requisitoria aveva chiesto il rigetto dei ricorsi e la conferma delle condanne di primo grado. Ma a riscrivere la stroria processuale della stagione delle stragi e della trattativa - a questo punto più che mai presunta - fra pezzi dello Stato e i corleonesi di Totò Riina sono le due formule con cui vengono assolti Dell'Utri "per non aver commesso il fatto" e gli ex ufficiali del Ros "perché il fatto non costituisce reato". Il primo, considerato anello di congiunzione fra politica e mafia nel 1994 con il governo Berlusconi, non ha compiuto il fatto, dunque non ha minacciato il corpo politico dello Stato. "La sentenza dice che non fu trait d'union tra mafia e politica", commenta il suo legale a fine udienza. "E' stato tutto inventato, nove anni di sofferenza per un film, per giunta girato male", commenta l'ex senatore. Una 'non minaccia' confermata anche dalla riqualificazione del reato di Bagarella da minaccia a tentata minaccia fino al 1993 e non per i fatti del 1994.

I secondi, gli ufficiali del Ros, per la corte d'Assise d'Appello non avrebbero compiuto alcun reato in quella che viene ribattezzata la prima parte della presunta trattativa, quella che sarebbe scattata dopo la bomba di Capaci. Se i contatti fra il Ros e i mafiosi ci sono stati, non hanno costituito reato ma hanno fatto parte del sistema investigativo. "Ho sentito sia il generale Mori che De Donno e sono molto contenuto - commenta l'avvocato Basilio Milio, legale del generale Mario Mori - La sentenza che la Trattativa non esiste. E' una bufala, un falso storico".

 

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