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Salviamo il nostro prosecco: tutti in trincea, made in Italy sotto attacco

Laura Pirone
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Sessanta giorni di tempo per proteggere il nostro prosecco dalle insidie degli sranieri. Sulla Gazzetta ufficiale europea, ieri, è stata pubblicata la domanda di protezione di una «menzione tradizionale» per il prosek da parte della Croazia. Ma il ministro dell’Agricoltura italiano, Stefano Patuanelli, promette «battaglia» per la tutela del prosecco e dice: «Siamo già al lavoro con un tavolo tecnico», seguito dal sottosegretario Gian Marco Centinaio. Non accenna a diminuire la tensione contro il rischio che, accanto al prosecco italiano, possa circolare il prosek, un vino del tutto diverso dalle «bollicine» italiane. Il primo, quello croato, è un vino fermo, più simile al passito che non al prosecco, declinato, per lo più, dal brut all’extra dry. Quello italiano è targato «Veneto»: poco più di due anni fa le colline di Conegliano e Valdobbiadene sono entrate a far parte del patrimonio Unesco. «Non spetta a me dirlo - ha affermato Patuanelli nel corso dell’informativa al Senato - ma appare indubbio che il termine prosek, per affinità fonetica e visiva evochi nella mente del consumatore medio europeo proprio il prosecco italiano».

 

 

Un motivo per il quale Patuanelli ritiene che «non ci siano le condizioni giuridiche affinché possa essere registrato». Il ministro cita, come esempio, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, contro l’utilizzo di termini storpiati o grafiche per richiamare tipicità protette dalle norme europee, dando ragione al Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (Civc), organismo per la tutela degli interessi dei produttori di champagne, contro una catena di bar spagnoli che usa il nome «Champanillo». Il tavolo tecnico del ministero è dunque già al lavoro per «predisporre una dichiarazione debitamente motivata relativa alle condizioni di ammissibilità» del prosek croato. L’eventuale riconoscimento sarebbe, nelle parole di Patuanelli, «un pericoloso precedente di istituzionalizzazione dell’italian sounding», fenomeno che, ad ogni latitudine, colpisce le eccellenze del made in Italy enogastronomico (un esempio per tutti il «parmesan»). L’Italia, ha evidenziato Patuanelli, produce «distintività, cultura, tradizione». «Il settore del prosecco interessa 185mila addetti e rappresenta il 20% del totale dell’agroalimentare nazionale. Il prosecco traina il settore agroalimentare, con una produzione pari al 20% del totale - ha spiegato - Nel 2020, parliamo di 500milioni di bottiglie per un fatturato al consumo di 2,4miliardi. La maggior parte della produzione si colloca sui mercati di Gran Bretagna, Stati Uniti e Germania».

 

 

«Il governo si sta muovendo unito e coeso in difesa non solo del prosecco, ma di tutto il nostro Made in Italy - ha evidenziato Centinaio - Già a fine giugno nel comitato di gestione europeo l’Italia aveva espresso la sua netta contrarietà alla proposta e il commissario europeo all’Agricoltura nel corso del recente G20 dell’Agricoltura aveva detto che la questione era tutt’altro che conclusa e che le Dop e le Igp vanno rafforzate e non indebolite». La Uiv, unione italiana vini, si è detta pronta a fare squadra.

 

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