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Obbligare al vaccino si può. Il consiglio del magistrato al Governo

Fernanda Fraioli - Magistrato della Corte dei Conti
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L’obbligo vaccinale, a distanza di un anno dalla catastrofe che ci avrebbe fatto accettare qualunque ritrovato degno di mago Merlino pur di sconfiggere chi troppe vite ha portato via impunemente, sta diventando una contrapposizione tra forze politiche. La spaccatura per ora resta profonda e oscilla dal no deciso di alcune, al sì indiscusso di altre, passando per i mediatori che invocano la persuasione piuttosto che l’obbligo. A un ordinamento democratico come il nostro è evidente che quest’ultima forma meglio si attaglia a dispetto delle altre che, però, si stanno imponendo proprio per la reazione ai vari provvedimenti che il Governo sta adottando di volta in volta per cercare di debellare questo nemico invisibile. Il fondamento della democrazia consiste proprio nell’evitare il più possibile imposizioni, atteso che la sovranità, per quanto esercitata tramite rappresentanti liberamente eletti, è pur sempre intestata al popolo che è il diretto interessato dai provvedimenti adottati. Ed è per questo che, in linea del tutto teorica, non può non condividersi che è meglio convincere che costringere, confidare nella libertà di adesione piuttosto che in una legge impositiva dell’obbligo di vaccinarsi. Ma è la pratica a determinarci diversamente. Se vero è, infatti, che il compito di chi governa in nome del popolo è quello di trovare soluzioni al problema, condivise e non già dispoticamente dettate, altrettanto vero è che se le adesioni volontarie tardano ad arrivare e le opposizioni continuano a non mancare va da sé che bisogna necessariamente arrivare a una soluzione prendendo atto della sconfitta di una coscienza collettiva. D’altronde la storia non è immune da determinazioni del genere.

 

 

Senza andare troppo lontano rievocando la gestione di malattie come il morbillo o la polio, basta ricordare il cd. decreto Lorenzin che rese obbligatorie un numero consistente di vaccinazioni per i minori da 0 a 16 anni proprio per raggiungere quel livello di immunizzazione raccomandato dall’Oms che, per mettere in sicurezza il Paese, doveva assicurare il 95% della popolazione. Tanto perché le coperture vaccinali, fino ad allora lasciate alla libera valutazione di chi aveva tante premure ma poca sapienza medica, avevano fatto registrare percentuali pericolose per la collettività, scendendo vertiginosamente sotto il 70%. Poste come requisito per l’ammissione alle scuole di primo livello e dotate di correlative sanzioni pecuniarie, hanno messo in sicurezza la popolazione e consentito a servizi, quale quello scolastico, di funzionare regolarmente.

 

 

Il tutto all’insegna della legalità, atteso che l’art. 32 della Costituzione è a difesa di entrambe le posizioni, pro e contro le invasioni di quello che è un diritto fondamentale dell’individuo la cui tutela è affidata alla Repubblica. In passato, come anche di recente, proprio la Corte costituzionale si è espressa nel dare corretta lettura soprattutto alla parte finale dell’articolo che sembra contrapporre il divieto dell’obbligo e la violazione dei limiti imposti dal rispetto della persona umana, rappresentando, quasi fosse l’uovo di Colombo, che quest’ultima deve essere intesa collettivamente e le limitazioni quali interventi diretti a preservare lo stato di salute di tutti.

 

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