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«Grazia parziale» di Sergio Mattarella: Ambrogio Crespi non tornerà in carcere

Francesco Storace
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Ambrogio Crespi non dovrà tornare in carcere. Lo ha deciso il presidente Sergio Mattarella con una decisione che fa davvero onore per il suo vissuto personale. Crespi era stato condannato - incredibilmente aggiungiamo noi - per concorso esterno  ad associazione mafiosa. E a pochissimi mesi dalla sentenza definitiva il Colle compie un atto di straordinaria moralità. Era il mese di marzo quando Ambrogio Crespi si vide affibbiare sei anni di carcere dalla Cassazione. E la sera stessa della sentenza definitiva si andò a costituire al carcere di Opera. Lui, regista antimafia, condannato per mafia. Davvero un film, parto di una fantasia orrenda. Avendo già scontato un anno di detenzione preventiva, gliene rimanevano cinque. Troppi, per chi lo conosce, lo apprezza, gli vuole bene. Fatta la domanda di grazia - con in prima fila l’associazione Nessuno tocchi Caino - Crespi ha potuto attenderne in libertà l’esito. Pur con mille dubbi perché in cuor suo - nonostante la profonda convinzione maturata comunque verso la giustizia - la domanda se la poneva: come farà Mattarella a dire di sì? Il presidente della Repubblica la mafia l’ha conosciuta nelle viscere, gli ammazzarono brutalmente suo fratello Piersanti, che lui accarezzava sanguinante. E quando la «pratica Crespi» è arrivata al Colle, Mattarella ha avuto una forza enorme. Non sconfessare i giudici, non rigettare in carcere una persona che chi la conosce esita davvero a riconoscere come vicino alle cosche. E poi, travaglio ulteriore, la decisione da prendere alla vigilia dell’anniversario dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. I sentimenti non sono fuggiti dal Palazzo del Quirinale. E Mattarella ha firmato. Con la saggezza della sua bella età. Con la sensibilità del giurista di straordinaria competenza. Con l’umanità di chi ha sofferto senza conoscere la vendetta.

 

 

La decisione è stata «grazia parziale». Non può - il Quirinale - cancellare il verdetto della magistratura che presiede al Csm; ma consente ad Ambrogio Crespi di restare libero, ai servizi sociali, perché le parole del Tribunale di sorveglianza di Milano, le relazioni sul caso di questo detenuto davvero fuori posto in un carcere, la stessa istruttoria condotta dalla ministra Marta Cartabia, non sono scritte sull’acqua. Da uomo libero, Crespi potrà riprendere la sua battaglia di innocenza anche in sede europea. E proseguirà la sua attività culturale contro la mafia e tutte le mafie. È una grande vittoria per Andrea Nicolosi che la richiesta di Grazia ha voluto, scritto e curato con attenzione e amore fino a ottenerla; per Simona Giannetti e Marcello Elia che hanno splendidamente difeso le ragioni di Ambrogio davanti al Tribunale di Sorveglianza di Milano. Mattarella ha considerato il «positivo comportamento» tenuto da Ambrogio Crespi dentro e fuori dal carcere che il decreto di grazia potrà far proseguire con «misure alternative al carcere». È una grazia parziale che ha però un valore politico e simbolico enorme, proprio tenendo conto della storia e del vissuto di chi l’ha concessa: un Presidente che non aveva di certo abusato di questa sua prerogativa costituzionale (26 grazie, tutte per reati comuni, concesse fino al febbraio del 2015, a fronte – ad esempio – delle 6.095 di Pertini e delle 1.395 di Cossiga); il fratello di una vittima di mafia che grazia un condannato per concorso in associazione mafiosa.

 

 

Ambrogio ora torna a guardare la sua famiglia con ancora più orgoglio. È Ercolino sempre in piedi; e sui muri della sua abitazione farà bene ad appendere cinque fotografie che simboleggiano la sua vita tormentata ma (ora) felice: quella con sua moglie e i suoi figli; quella della sentenza di condanna; quella con l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Milano; quella con decreto di grazia; e una di Sergio Mattarella. Che merita davvero il grazie di molti. Non era certo dovuta quella decisione. Ma è stata meditata. E proprio per questo rispettata per il suo valore di atto di giustizia verso un uomo che ha sofferto sin troppo. La grazia non cancella (ancora) la colpa, ma il dolore di una comunità, quello sì. Ed è per questo che bisogna esserne felici. E fieri.


 

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