Ora rischiamo anche noi. L'allarme di Massolo, ex capo dei Servizi: "In Italia e in Europa possibili emuli dei kamikaze"
«È chiaro che nel momento in cui si hanno dei santuari jihadisti il rischio per l’Occidente esiste. Gli attentati veramente pianificati sono un’esigua minoranza, ma la potenza dell’emulazione e della propaganda non mettono al riparo l’Occidente». Giampiero Massolo, ex direttore del Dipartimento per le informazioni per sicurezza (Dis) e oggi presidente di Fincantieri, analizza gli scenari legati al rischio terrorismo in Occidente e in Italia alla luce di quanto sta accadendo in Afghanistan.
Esiste un rischio attentati in questo momento?
«Quando dico Occidente penso soprattutto all’Europa perché gli Stati Uniti, ed è una delle ragioni per cui si stanno rivolgendo verso altri quadranti, si ritengono sostanzialmente protetti dalla loro insularità e quindi meno a rischio dal punto di vista della jihad. Invece l’Europa rischia, ripeto: non tanto per pianificazione diretta, ma per la forza dell’emulazione».
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E l’Italia?
«Da noi fino ad ora non ci sono state rilevanti manifestazioni di terrorismo. Oltre alla sorte, che in questi casi gioca un ruolo abbastanza rilevante, tra le ragioni ci sono l’immigrazione più recente, il nostro tessuto economico-sociale in generale fatto di centri medi e medio-piccoli dove il controllo sociale è più forte, le nostre città non conoscono (o non ancora) il rischio delle banlieue, i quartieri chiusi su base etnica, il rapporto tra intelligence e forze di polizia è molto forte. Tutti questi sono fattori di mitigazione del rischio, sempre tenuto contro che il rischio zero non esiste».
Il flusso migratorio potrebbe portare terroristi in Europa?
«Sono meno convinto che vi sia un rischio di infiltrazioni terroristiche nei flussi migratori, anche se bisogna mantenere la guardia alta. Sappiamo, per esperienza, che non è quella la modalità con la quale arrivano i terroristi. Spesso e volentieri sono rischi endogeni più che esogeni, quindi gente che si fomenta all’interno. Questo vale per l’Italia al pari degli altri paesi occidentali».
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Dopo 20 anni, l’Afghanistan è quello che stiamo vedendo in queste ore. Cosa è successo?
«La comunità internazionale nel 2001 andò in Afghanistan perché bisognava togliere di mezzo un regime che era quello talebano che aveva consentito l’impianto sul suo territorio di basi jihadiste, segnatamente di al Qaeda. C’era stato l’attentato alle Torri Gemelle, eravamo sull’onda della grande emozione, dello choc. Bisognava sostituire il governo talebano e eliminare le basi terroristiche. A questo si era aggiunto un clima che era quello dell’interventismo liberale, dell’esportazione della democrazia come antidoto al ripetersi di fenomeni di oscurantismo e di jihadismo. Non erano estranei interessi come quello della protezione delle risorse energetiche del Medio Oriente. Certe operazioni anti talebani, antiterrorismo, sono state nell’insieme coronate da successo. Negli anni successivi ci sono stati degli sviluppi che hanno riguardato solo marginalmente l’Afghanistan, mentre l’attenzione si spostava su Siria e Iraq. Nel frattempo, in embrione succedevano delle cose che riguardavano anche l’ambiguità dei servizi segreti pakistani sul territorio afghano: non è mai chiaro da che parte questi stiano. Inoltre, ci sono talebani e talebani: quelli più estremisti e quelli meno; talebani afghani e talebani pakistani. Si arriva nel 2014 /15 alla nascita della costola Isis, che si differenzia da al Qaeda. Quindi, costole di al Qaeda, costole del Califfato, altrettante Province: una di queste, Isis-K (Isis Khorasane), che si impianta in Afghanistan e viene alimentata dai talebani estremisti soprattutto pakistani, in parte afghani delusi da quello che vedevano sul loro territorio, e questa realtà permane anche se conta non più di 2/3mila aderenti. Non deve meravigliare quello che succede attualmente».
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Che succede attualmente?
«Succede che i talebani ritornano a Kabul: ora devono governare. Ma l’Afghanistan non si controlla solamente da Kabul. Bisogna scendere a patti con realtà dominate dai signori della guerra, ci sono delle variabili sul territorio che sono fatte anche di basi, non rilevantissime, di al Qaeda che sono tradizionalmente di un pensiero più affine a quello dei talebani e poi bisogna fare i conti con Isis che, come ripeto, era in embrione, non se ne erano liberati. Per affermarsi i talebani devono negoziare con quello che trovano sul terreno. E si arriva alla giornata di ieri (giovedì, ndr) assolutamente prevedibile. Vedremo lo sviluppo degli eventi. Perfino per i talebani sono passati 20 anni e quindi fare oscurantismo oggi è sempre più difficile. Si eredita un Paese diverso, vent’anni non sono passati invano: c’è una piazza a cui qualcosa bisogna dare».