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Chiesa in fiamme tra gay, latino e Cina. Il retroscena su Papa Bergoglio e 007

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Luigi Bisignani
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Caro direttore, con gli incendi che stanno devastando mezza Italia, anche la Chiesa brucia. E le ultime fiammate dell’apostolato di Bergoglio sul piano diplomatico e persino su quello teologico fanno tremare Oltretevere: la prima riguarda le relazioni con la Cina, per la sua piattaforma social di incontri gay; la seconda, il Motu proprio del Santo Padre ‘Traditionis Custodes’, che limita la celebrazione della messa in latino.

Il rogo che sta infiammando la diplomazia della Santa Sede è partito agli albori degli anni 2000 con la crociata “basta con gli italiani” - nel caso di specie, si trattava peraltro di italiani del calibro dei cardinali Casaroli e Silvestrini - a cui la Pontificia Accademia Ecclesiastica, la scuola che prepara i sacerdoti al servizio diplomatico della Santa Sede, aggiunse l’anatema contro i diplomatici in sottana francesi, spagnoli e tedeschi.

Così la diplomazia vaticana si è trasformata in un sistema assai ambiguo, sempre genuflessa davanti ai benefattori americani, al punto da indulgere troppo sulle vicende della pedofilia. Gay e messa in latino: due temi diversi senza alcuna relazione tra loro, ma entrambi laceranti e divisivi. Il forte e controverso avvicinamento della Chiesa a Pechino, uno dei cardini della strategia di Francesco e del Segretario di Stato Piero Parolin, sta di fatto provocando una battuta d’arresto di un’operazione di intelligence che il Guoanbu, il potente servizio segreto cinese, aveva intrapreso negli ultimi anni spiando la piattaforma ‘Grindr’, il ‘social’ mondiale per incontri omosex, acquisita dal gruppo cinese Kunlun.

Secondo il sito ‘The Pillar’, gestito da cattolici autodefinitisi ‘impegnati e informati che amano la Chiesa’, apparati vicini al governo cinese, per ritardare l’abbraccio tra Santa Sede e Pechino, conserverebbe immagini compromettenti di sacerdoti da imbarazzare il Vescovo di Roma. Sono ben lontani i tempi in cui la diplomazia italiana collaborava con la Segreteria di Stato vaticana per creare un ponte simbolico tra San Pietro e Pechino.

Ad aprire la strada, nel 1986, fu una visita di Stato dell'Italia nella Cina comunista, quando il capo del Governo di allora era Bettino Craxi e il ministro degli Esteri Giulio Andreotti. L’ultimo rogo appiccato, il motu proprio di Bergoglio che limita la messa in latino e che sta aprendo uno scontro durissimo tra tradizionalisti e innovatori perché sconfessa il precedente Motu proprio, ‘Summorum Pontificum’, emanato da Benedetto XVI che recuperava il messale in lingua latina di Pio V. Questa decisione di Bergoglio, come al solito presa senza alcun tipo di consultazione, neanche con il Papa emerito Ratzinger, sta scuotendo fondamentali Conferenze episcopali di Stati da sempre molto generose con le casse vaticane: Germania e Stati Uniti.

Un grido di dolore si è levato da cardinali autorevoli con un grande seguito tra i tradizionalisti come Raymond Burke, Robert Sarah e Gerhard Müller. Oramai, da Washington a Monaco di Baviera parlare di scisma non è più peccato. E pensare che in passato abbiamo assistito a grandi successi della diplomazia di Stato vaticana: l’instaurazione di rapporti diplomatici della Santa Sede con la Libia, Israele, l’Autorità Palestinese, la presidenza della conferenza sulla sicurezza in Europa, il ruolo di Giovanni Paolo II per il primato dei diritti umani e della libertà di religione e per la distensione con l’Est Europa.

Peraltro, la Chiesa ha sempre cercato il dialogo con i sovietici: negli anni Venti, il nunzio apostolico Eugenio Pacelli (poi Papa Pio XII) a Berlino andò a pranzo con il commissario sovietico agli affari esteri Georgij Čičerin per cercare un ‘modus vivendi’. Oggi invece assistiamo, oltre al freddo glaciale con l’Argentina volutamente mai visitata, ai disastri portati avanti in Cile, Colombia e soprattutto in Venezuela. Ma è in crisi soprattutto il rapporto con gli Stati Uniti, dopo che Bergoglio ha mediato tra Obama e Castro definendo Trump un “non cristiano".

La situazione ora è infuocata, dopo che è stata vietata la comunione al presidente cattolico Joe Biden in quanto filoabortista, tanto che adesso sembra interessato a venire a Roma più per incontrare Draghi che il Papa. Lontani i tempi del secondo Dopoguerra, quando il cardinale Francis Spellman e altre porpore Usa intervennero in favore dell’Italia presso la presidenza americana perché aiutare Roma significava aiutare San Pietro.

 Una relazione tra Washington e Santa Sede assai complessa. E c’è chi ricorda una vecchia citazione di William P. Clark, consigliere di Ronald Reagan, sulla collaborazione d’intelligence tra la Cia e il Vaticano, considerando che la Santa Sede non ha, almeno ufficialmente, un servizio segreto. Apre certamente uno squarcio inedito perché evidentemente i nunzi apostolici, all’evenienza, possono essere di grande aiuto, soprattutto per la mole di informazioni che provengono dalle parrocchie e dalle missioni sparse nel mondo. ‘Nunzi’, figure fondamentali nello scacchiere del potere: dal Congresso di Vienna in poi, in molti Paesi il nunzio apostolico è il decano del corpo diplomatico, circa 187 Paesi hanno relazioni bilaterali con la Santa Sede che è un ente morale, a differenza della Città del Vaticano che non ha rapporti diplomatici e non invia né riceve ambasciatori.

Papa dal 2013, Jorge Mario Bergoglio ha effettuato molti viaggi apostolici in giro per il mondo: è stato 7 volte in Paesi asiatici, 6 volte in Medio Oriente, 5 in Africa, 8 nelle Americhe, 14 in Europa. Ma certamente resta nei cuori la recente grande missione di Francesco in Iraq, senza dubbio la più dolorosa e dolente: mai nessun Papa si è aggirato e ha celebrato messe tra le macerie come lui, neppure Pio XII, durante la seconda guerra mondiale. Il gesto di testimonianza politica conta più di una professione di fede. E nell’agenda personale dei prossimi mesi forse anche, a sorpresa, in Libano e in Corea del Nord. Ma è davvero questo che vuole il gregge dei fedeli dal suo Pastore? Le vie del Signore sono infinite e misteriose.

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