certificato o tampone

Green pass a scuola: chi non si vaccina deve pagare per lavorare. L'assurdità delle norme per chi insegna

Gianluigi Paragone

“Arriverà un tempo in cui dovremo pagare noi per andare a lavorare”. Lo dicevamo a mo’ di battuta, come fosse un paradosso. Ma le cose si stanno mettendo così male che i paradossi diventano realtà o pezzi di realtà.

Se con l’economia dei lavoretti, la cosiddetta gig economy, il salario è una variabile squilibrata (il datore di lavoro si nasconde dietro il ruolo di “prestatore di servizi” di cui si dovrebbe avvalere anche colui che consegna il cibo come fosse un pezzo della catena di montaggio, comprensiva del ristoratore del cliente finale), con il green pass entriamo proprio nella dinamica del lavoro con busta paga variabile.

Prendiamo gli insegnanti. In questa prima fase, il corpo docente e il personale non docente non sono soggetti a obbligo vaccinale ma solo all’obbligo di esibizione del green pass. Il Palazzo sa benissimo che a novembre il patentino di libertà segnerà il passo a favore dell’obbligo vaccinale: terminate le amministrative infatti i partiti della maggioranza concederanno a Draghi ciò che oggi non hanno concesso per ovvi motivi elettorali. Eletti i sindaci e regolati i conti interni, Draghi suonerà la campanella e farà rientrare i partiti nei ranghi e si farà come dice lui. Cioè, obbligo per insegnanti e personale non insegnante esattamente come accade nel mondo sanitario.

Basterà montare ad arte il “terrorificio” dei contagi e il governo imporrà un decreto di obbligatorietà ad categoriam, come se all’aumento dei contagi scattasse in automatico l’aumento degli ospedalizzati (e non si capisce perché nelle ore pari dicono che la campagna di vaccinazione procede alla grande e nelle ore dispari sostengono di non essere in grado di gestire le situazioni di chi non si è vaccinato).

Ad oggi e fino a quel giorno però agli insegnanti è richiesto il solo green pass. E qui onestamente non si comprende il motivo per cui agli insegnanti vaccinati si concede lo stipendio pieno, mentre a coloro che scelgono di non vaccinarsi - ripeto: nel pieno rispetto della legge - il governo impone di caricarsi il costo dei tamponi ogni due giorni. Insomma, bisogna pagare per andare a lavorare. Una decurtazione dello stipendio che va ad interessare una categoria che in Europa è tra le più penalizzate in quanto a retribuzione.

Così come il pizzo è una odiosa vigliaccata per lavorare in pace, il pagamento del tampone per andare a lavorare lo è altrettanto. Con buona pace dello stato di diritto, la cui tenuta è ormai andata a farsi benedire in questi lunghi mesi di emergenza.

Caricarsi il prezzo del tampone esattamente come lo Stato si carica il costo dei vaccini (aumentato grazie all’egoismo di Big Pharma) sarebbe cosa giusta, ma il governo non lo vuole fare: primo, perché spinge la gente a vaccinarsi; secondo, perché come vi dicevo a novembre archiviate le elezioni la parola di Draghi non tollererà variazioni al tema. Da qui due riflessioni: da quando la Costituzione prevede siffatte discriminazioni di trattamento? E ancora, siamo certi che nessun giudice darà ragione a quegli insegnanti che faranno causa?