Non si vaccina, sospesa senza paga. Il Tribunale di Roma dà ragione all'azienda
Obbligata a casa e senza percepire alcuna retribuzione la lavoratrice sospesa a causa della mancata vaccinazione anti Covid. Questa la decisione presa dal Tribunale di Roma in merito al contenzioso tra una donna – Paola, nome di fantasia – e l’azienda per cui lavora da tempo. All’origine della battaglia legale c’è la decisione della società di optare, a partire dalla fine dello scorso mese di giugno, per il rientro dei dipendenti in azienda. Necessario un passaggio ulteriore: l’esame di ogni singolo lavoratore da parte del medico. A chiusura della visita, però, Paola viene sì dichiarata «idonea», a patto di non sollevare pesi superiori a sette chilogrammi, ma, allo stesso tempo, viene individuata come soggetto non adatto, attualmente, a stare a contatto con colleghi e clienti, visto, mette nero su bianco il medico, «il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione contro il Coronavirus». Preso atto del giudizio espresso dal medico, l’azienda comunica a Paola «la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione», a partire dallo scorso primo di luglio, poiché «in quella data si tornerà ad operare in modalità ordinaria, ovvero non in smart-working».
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E questa situazione di «congelamento» della lavoratrice dovrà durare, sancisce l’azienda, sino a una revisione del giudizio medico – tradotto: sino a quando Paola non accetterà di sottoporsi al ciclo vaccinale anti Covid – o sino alla «cessazione delle limitazioni» imposte dallo Stato italiano a causa della pandemia. Per la lavoratrice il provvedimento è ingiusto. Per il giudice del Tribunale, invece, la decisione presa dall’azienda è assolutamente corretta. Innanzitutto, viene evidenziato che «dall’organigramma non risultano posizioni lavorative confacenti alla professionalità» di Paola e quindi «non vi è la possibilità di reimpiegarla diversamente» in azienda. Ma soprattutto, secondo il giudice, la decisione dell’azienda non va letta come un provvedimento disciplinare nei confronti della lavoratrice a causa del suo rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione anti Covid. Al contrario, bene ha fatto il datore di lavoro a «sospendere in via momentanea la lavoratrice», così tutelando la salute degli altri dipendenti e dei clienti.
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Legittima, quindi, anche la decisione dell’azienda di non provvedere al pagamento della retribuzione. In particolare, «la protezione e la salvaguardia della salute dei clienti rientrano nell’oggetto della prestazione lavorativa» che comporta quindi «la sottoposizione al vaccino anti Covid», mentre, nella vicenda riguardante Paola, l’ingiustificato rifiuto della vaccinazione «ha reso inutilizzabile la prestazione lavorativa», spiega in chiusura il giudice.
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