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È morto Achille Lollo, un assassino che distrusse col fuoco la gioventù di Primavalle e arse i fratelli Mattei

Francesco Storace
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Una botta al cuore. La ferita che si riapre. Il dolore che non finisce mai. A 70 anni muore Achille Lollo, ma il lutto non è per lui, il boia di Primavalle. Lo piangeranno i suoi compagni, quelli che lo osannarono per la strage dei fratelli Mattei, la bella gioventù di una famiglia di destra. 1973, a Roma Potere Operaio si rese responsabile di una strage orrenda, quei corpi carbonizzati sopra una finestra, Virgilio Mattei – 22 anni – con il piccolo Stefano, un pargolo di otto anni, morirono tra le fiamme. Ad appiccare il fuoco fu proprio lui, Achille Lollo. Ora quelle fiamme le rivedrà all’inferno. Da una finestra del Paradiso forse lo guarderanno le sue vittime. Virgilio e Stefano furono carbonizzati da un commando di Potere Operaio, con Lollo – l’unico a finire in carcere per poco tempo – c’erano anche Manlio Grillo e Marino Clavo. Tutti e tre condannati ad appena 18 anni. Grillo e Clavo se la cavarono con una latitanza fino – incredibile – all’estinzione della pena. Perché la condanna fu per incendio doloso, duplice omicidio colposo e uso di esplosivo e materiale incendiari. Come se Stefano e Virgilio fossero morti chissà per cosa. La strage capitata chissà perché. Anni dopo Lollo fece altri tre nomi in un’intervista al Corriere della Sera, come partecipanti all’azione criminale, ovviamente non successe nulla, proprio perché il reato era estinto... Quasi una logica conseguenza degli anni in cui «uccidere un fascista non è reato», come scrivevano sui muri.

 

 

E il rogo di Primavalle fu deciso proprio per punire una famiglia missina: il capofamiglia, Mario Mattei, dipendente dell’azienda di pulizia della città, era segretario della sezione locale del partito di Giorgio Almirante. Tanto per capire il clima dell’epoca, va ricordato che per diverso tempo si tentò addirittura di accreditare una faida interna alla destra come movente della strage. Si muovevano le protezioni di una sinistra estrema che doveva poter contare sull’impunità. E siccome sangue chiama sangue, dal processo per quella tragedia ci fu anche un’altra vittima. Era il 28 febbraio del 1975. A piazzale Clodio si processavano i terroristi che avevano ammazzato i fratelli Mattei. Fuori del tribunale la guerriglia rossa e nella vicina piazza Risorgimento, un altro estremista di sinistra, Alvaro Lojacono, abbatté a pistolettate lo studente greco Mikis Mantakas. Costui era militante del Fuan, l’organizzazione universitaria del Msi. Furono anni durissimi nella Capitale, caratterizzati da lutti e violenze che provocarono dolore enorme. A destra, probabilmente, il rogo di Primavalle e la strage di Acca Larentia sono stati i simboli più evidenti di un martirologio costellato da decine di vittime, abbattute anche in agguati sotto casa. A Primavalle fu ammazzato un bambino e questo ferì ancora di più la parte politica che assistette inerme e vittima a quell’attentato orribile, feroce, punitivo. La lezione da impartire ad una comunità che “osava” aprire sezioni di partito anche nei quartieri più rossi della Capitale.

Acca Larentia, anni dopo, rappresentò un altro simbolo da colpire: doveva morire chiunque si trovasse davanti a quella sezione, anch’essa in un territorio a forte presenza di sinistra. Fu una guerra, resistere a destra non fu davvero facile. Certo, ci furono anche violenze che colpirono la sinistra con altri lutti. Ma resta indubbio che chi professava l’eliminazione fisica del nemico militava nell’estrema sinistra. La morte di Achille Lollo richiama alla memoria quel tempo terribile. Andrà scritta di nuovo magari la storia di anni in cui da ragazzi si andava incontro alla morte anche con un pizzico di incoscienza. Tremavano le famiglie in attesa del rientro in casa dei figli. Troppo sangue versato da giovani militanti per un manifesto affisso, per un volantino distribuito, per una militanza politica vissuta con orgoglio. Su quelle storie, assassini come Achille Lollo e i suoi complici gettarono una tanica di benzina. Bruciarono una casa. E poi se ne andarono all’estero, fieri di quello che avevano combinato. Lui riparò – come tanti – a Rio de Janeiro, in terra brasiliana. Avendo cura di tornare in Italia solo avendo la certezza di non dover rientrare in galera. Per quel sangue versato non paga nessuno. Anzi, pagano in dolore le famiglie che restano e che poco alla volta si assottigliano perché i più anziani se ne vanno. Mario e Anna Mattei, i genitori di quei ragazzi – altri quattro riuscirono a salvarsi dalla strage – sono saliti in Cielo e il ricordo della loro dignitosa sofferenza resta struggente per quanti ebbero l’onore di conoscerli, apprezzarli, consolarli. Chi ha memoria di quel tempo ancora ricorda le esequie dei fratelli Mattei e le lacrime di Giorgio Almirante, segretario del Msi, che si unì nell’accompagnare a spalla quelle bare. Nei suoi occhi il dolore che al giorno d’oggi potrebbe essere quello di una Nazione chiamata al ricordo di pagine orrende della sua storia. Che comprese anche i tentativi di negare ciò che era successo e per responsabilità di chi.

Primavalle brucia ancora perché non fu resa giustizia a quei martiri. Anzi, accadde di peggio, perché ci fu chi tentò in tutti i modi di “riabilitare” assassini che non avevano scontato la loro pena (Achille Lollo in galera ci restò appena un paio di anni…). Si vociferò persino di una collaborazione di Lollo con Alessandro Di Battista, allora nei Cinque stelle, che però non esitò a parlare di “fango”. Ma soprattutto da sinistra si mossero ambienti altolocati per minimizzare le responsabilità emerse in quell’eccidio che devastò una famiglia e una comunità. Evidentemente quello slogan orrendo che incitava a cancellare ogni presenza fisica del nemico, era anzitutto figlio di una cultura. Quella dell’odio e della sopraffazione che armò Achille Lollo e i suoi compagni. Dalla strage di Primavalle sono passati 48 anni. Se quella pagina provoca emozione ancora oggi è anche per un profondo senso di ingiustizia che colpisce ogni persona civile.

 

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