Dire no al green pass significa dire sì al lockdown e mettere a rischio le vite degli altri
Il green pass non è assimilabile alla torre panottica per esercitare sulle persone una vigilanza dispotica, essendo uno degli strumenti per neutralizzare la propagazione del virus che da marzo 2020 sta limitando la nostra libertà. La minaccia di nuove restrizioni deriva dal nemico virale, che si è placato grazie alle vaccinazioni di massa, ma il Covid è una bestia subdola che vorrebbe insinuarsi negli interstizi sociali ancora non immunizzati per attecchire con le sue varianti, moltiplicarsi e, così, erodere i nostri spazi di libertà. Nella trincea anti-Covid si è impegnati in una battaglia logorante per frenare l’incursione del nemico e chi non si unisce al fronte delle vaccinazioni non è additabile come disertore o quinta colonna del rivale invisibile a condizione, però, che la libertà rispettabile di non vaccinarsi non degeneri in licenza di nuocere a se stessi e agli altri. Per fronteggiare l’emergenza pandemica, su cui incombe il rischio concreto delle «varianti», ed esorcizzare un inasprimento del quadro epidemiologico, il governo Draghi ha emanato il decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, che prevede un meccanismo selettivo di accesso a determinati servizi e attività attraverso l’equipaggiamento di una delle «certificazioni verdi Covid-19» (comunemente denominate green pass e certificanti che la persona è stata vaccinata o ha ottenuto un risultato negativo al test molecolare/antigenico o è guarita dall’infezione).
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I contestatori della misura governativa si appellano alla violazione della libertà. Per gli anti-pass lo spazio di azione della libertà non può essere calibrato sul possesso, o meno, delle attestazioni verdi come se i diritti fossero dotati di una assoluta e illimitata praticabilità. Entrando nello specifico tecnico del provvedimento governativo possiamo riconoscergli una patente di legittimità costituzionale attraverso una lettura sistemica della Carta, perché le limitazioni della libertà di movimento, garantita dall’articolo 16, sono bilanciate dalla necessità di proteggere il bene salute nella sua declinazione collettiva così come sancito dall’articolo 32. La limitazione della libertà di circolazione retrocede rispetto all’interesse primario di tutelare la vita delle persone e la salute pubblica senza implicare, tuttavia, la rinuncia integrale al bene costituzionale della libertà di movimento, bensì la sua limitazione: affinché non venga ridimensionata la sfera di espressione della libertà di movimento si è tenuti, qualora si scelga di sottrarsi alla somministrazione vaccinale, a munirsi di un certificato probante lo stato di guarigione dal Covid ovvero l’esecuzione di un test con risultato «negativo». Il requisito delle certificazioni contempla un «sacrificio» trascurabile rispetto al bene superiore del contenimento epidemico la cui recrudescenza avrebbe effetti deleteri sul versante sociale ed economico. Dovrebbe essere chiaro a chi censura il green pass che la diffusione capillare del virus riproporrebbe misure coercitive più restrittive delle attuali.
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Oggi, il «no» al green pass può significare in proiezione il «sì» al lockdown. E allora si eviti di sbandierare l’egoistico mantra dei «diritti inviolabili» ammainando la solidale bandiera dei «doveri inderogabili», perché solo dal loro equilibrio possiamo assicurarci una esemplare convivenza civile. Sulla comunicazione la politica non dovrebbe indulgere a messaggi ambigui sul valore profilattico dei vaccini per non alimentare quella tossicità della disinformazione che, attraverso la manipolazione delle notizie reali, inquina l'ecosistema informativo. Nei canali web giacciono indisturbate le fake news che, provocando suggestioni negli utenti social, hanno un effetto distorcente sulla realtà. Uno studio recente ha censito l’«audience» delle pagine no vax con quasi mezzo milioni di seguaci. Una discussione seria sul Green pass contribuirebbe a non fornire a certi ambienti dello scetticismo antiscientifico il pretesto per un controproducente proselitismo.
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