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Se il green pass è garanzia di libertà giurino che non si chiuderà mai più

Franco Bechis
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Green o meno, da Mario Draghi non si pass. Non è una battuta e nemmeno una barzelletta: ieri alla conferenza stampa indetta dal presidente del Consiglio per illustrare il decreto del governo sul green pass non si poteva entrare esibendo il proprio green pass. Come racconta il nostro Dario Martini che prima ci ha provato e poi ha chiesto alla presidenza del Consiglio una conferma ufficiale, per essere ammessi a pochi metri da Draghi non avevano alcun valore le vaccinazioni fatte secondo le regole da più di due settimane, ma è stato necessario esibire un tampone effettuato nelle 24 ore precedenti. Morale della favola: il capo del governo non si fida del green pass e per essere ammessi alla sua presenza bisogna garantire qualcosa di più. Mica piccola contraddizione nel momento in cui il green pass si impone a tutti gli italiani per potere avere quelle libertà di movimento e di impresa che altrimenti sarebbero ancora una volta sospese nonostante la Costituzione italiana.

 

 

Intendiamoci, la carta verde non è in sé un sopruso, perché bisogna bilanciare libertà e diritti di tutti e obiettivamente non è facile farlo durante una pandemia grave come quella che abbiamo vissuto e purtroppo non ci siamo ancora messi alle spalle. Può essere un modo per garantire la sicurezza a tutti senza imporre l’obbligo vaccinale né lasciare ai margini qualcuno visto che il green pass è ottenibile- sia pure per poche ore- anche facendo un tampone molecolare o uno rapido. Come abbiamo già scritto su queste colonne quei tamponi devono però essere interamente a carico del sistema sanitario nazionale ed essere forniti dal pubblico con la stessa rapidità con cui oggi vengono processati dai privati, perché è assurdo imporre - come avverrà dal 6 agosto - a una famiglia con due figli sopra i 12 anni di sedersi a tavola avendo già pagato 100 euro per potere ordinare pizza e birra. È proprio lì il confine fra una misura giusta e comprensibile e un sopruso. Se invece si volesse pretendere la vaccinazione da tutti gli italiani sopra i 12 anni, bisognerebbe quanto meno averli messi in condizione di ottenerla, cosa che questo governo fin qui non ha fatto. Non solo: bisognerebbe avere creato le condizioni minime per convincere tutti sulla sicurezza di qualsiasi vaccino inoculato, e questo governo non lo ha certo fatto sulle dosi di AstraZeneca e Johnson & Johnson, con scelte più volte cambiate anche sull’emozione di singoli fatti nemmeno approfonditi. Se si vogliono usare slogan tranchant e nel contenuto anche giusti come quelli declinati ieri dal presidente del Consiglio in conferenza stampa bisognerebbe avere avuto una coerenza di comportamento che obiettivamente non c’è stata sulle vaccinazioni esattamente come non c’era ieri snobbando il green pass come strumento valido per entrare al cospetto di Draghi.

 

 

Ieri il presidente del Consiglio è scivolato in modo brutto anche in un altro passaggio. Un collega gli ha letto le parole di Matteo Salvini che consigliava fortemente il vaccino a tutti gli ultra sessantenni e rimarcava la libertà di scelta al di sotto di quella età e in particolare per chi aveva meno di 20 anni, spiegando come il virus non fosse così distruttivo. Il leader della Lega è un esponente importante della maggioranza che sostiene il governo, e da lui Draghi non può prescindere. Per altro pare che si fossero sentiti al telefono poco prima del consiglio dei ministri, e hanno avuto l’occasione per dirsi direttamente quel che pensavano. Richiesto di commentare le parole di Salvini, Draghi ha risposto così: «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore». Il contenuto non lo discuto: crudo, ma ha verità. Dirlo però per commentare Salvini è stato sgradevole e anche scorretto: il leader della Lega, come gli altri leader del centrodestra (la stessa Giorgia Meloni), non hanno mai rivolto a nessuno un appello a non vaccinarsi. Più che giustificata l’amarezza di Salvini per questo atteggiamento del premier. E ha dovuto fare ogni possibile ginnastica Zen per non rispondere per le rime, conoscendolo.

Lasciamo da parte le questioni di stile e andiamo alla sostanza: abbiamo visto troppe affermazioni apodittiche poi mutare e diventare quasi l’opposto nell’ultimo anno ma anche in questi ultimi mesi per potersi fidare fino in fondo di quel che dice l’autorità pubblica. Ieri è stato detto che il green pass è il passe-partout per la libertà, la carta necessaria per non richiudere le attività commerciali. Se sono parole sincere, allora il governo solennemente assicuri che con questo passe-partout anche se dovessero tornare (accadrà) zone gialle, arancioni o perfino rosse, non saranno chiusi bar, ristoranti, palestre e tutte le attività commerciali a cui veniva imposto fino ad ora di tirare giù le serrande. Ovviamente da oggi alle conferenze stampa di Draghi si deve potere entrare con il green pass. E allora - ma solo così - viva la Carta Verde.

 

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