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Tutti contro Confindustria sul green pass: il mondo economico e politico in rivolta. La posizione di Fico

Gianni Di Capua
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Forti dubbi e una sostanziale contrarietà di fondo. È stata questa la reazione più diffusa nel mondo economico e politico 24 ore dopo la proposta arrivata informalmente ieri da Confindustria, che di fatto legava il Green pass a lavoro e salario. Come rivelato da Il Tempo, in una mail inviata dal direttore generale di Confindustria Francesca Mariotti ai direttori del settore industriale emergeva la possibilità di «chiedere la presentazione» del gree pass «ai dipendenti che, nel caso non lo abbiano, potrebbero essere spostati ad altra mansione o essere sospesi, con impatto anche sulla retribuzione». «Non mi trovo in alcun modo d’accordo con quello che ha detto Bonomi. Il governo sta lavorando e vediamo cosa uscirà dalla cabina di regia», è la risposta netta del presidente della Camera Roberto Fico. Oggi il governo affronterà il nodo green pass, ma il certificato verde sui luoghi di lavoro, esattamente come l’obbligo vaccinale a scuola, non sarà all’ordine del giorno.

 

 

I sindacati, dal canto loro, bocciano l’idea emersa da Viale dell’Astronomia. Il leader della Cgil, Maurizio Landini, parla di una «forzatura», anche perché «in questo anno di pandemia i lavoratori sono sempre andati in fabbrica in sicurezza. Rispettando i protocolli e le norme di distanziamento. Non sono le aziende che devono stabilire chi entra e chi esce». La Cisl ribadisce la validità dell’accordo per tutelare la salute collettiva firmato il 6 aprile scorso e avvisa: «Porre dei vincoli di accesso ai luoghi di lavoro mediante il green pass non rientra nel perimetro del protocollo ed in ogni caso è una modalità discriminatoria di controllo che non può essere imposta con una circolare alle aziende». «La trovo una iniziativa estemporanea e fuori luogo, non possono pensare di fare da soli», dice il segretario generale Fim Cisl Roberto Benaglia, che chiede invece di riprendere il confronto imprese-parti sociali per supportare i lavoratori.

 

 

Nella missiva di Confindustria si citava «l’esibizione di un certificato verde valido» che «dovrebbe rientrare tra gli obblighi di diligenza, correttezza e buona fede su cui poggia il rapporto di lavoro». Sempre nella lettera si spiegava come «in diretta conseguenza di ciò, il datore, ove possibile, potrebbe attribuire al lavoratore mansioni diverse da quelle normalmente esercitate, erogando la relativa retribuzione; qualora ciò non fosse possibile, il datore dovrebbe poter non ammettere il soggetto al lavoro, con sospensione della retribuzione in caso di allontanamento dell’azienda». «Non capiamo questa idea privatistica della gestione della questione, in cui i privati vorrebbero sostituirsi allo Stato, alle relazioni sindacali. Sarebbero opportuno che ognuno facesse il proprio mestiere», conclude il segretario nazionale della Fiom Cgil, Michele De Palma.

 

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