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Euro2020, c'era una volta Oxford. Adesso si vergognino: gli inglesi hanno calpestato i valori dello sport

Francesco Storace
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Dio li ha stramaledetti. E anche la buona educazione, che la Nazione che ospita Oxford sembra aver improvvisamente smarrito. Hanno fatto davvero schifo nel non saper accettare il verdetto del campo. Ma l’Italia non deve accettare di fargliela passare liscia. Fosse successo in casa nostra, ciò che è accaduto a Londra, saremmo stati linciati da tutto il mondo. E allora gliela raccontiamo noi a questi inglesi rancorosi e dimentichi dei valori dello sport, a partire dalla lealtà e dal rispetto degli avversari, una storia che ci portiamo appresso da qualche decennio. E che finalmente l’altra sera è toccato a loro di vivere. Ma con una differenza: che sta tutta nel sapere che cosa significa lo sport. Era l’anno di Orwell, il 1984, e alcuni di noi erano giovincelli, quando ci intrufolammo in quello stadio Olimpico troppo piccolo per ospitare tutti. Ebbene sì, aspettavamo da quasi 40 anni questo momento per render loro pan per focaccia per quel Roma-Liverpool che perderemmo in casa nostra. Ai rigori. Con Ciccio Graziani che ancora oggi non si capacita di quel rigore sbagliato (vedi ieri sera a Quarta Repubblica, quasi a scusarsi lui con gli inglesi per i giudizi sul loro comportamento). Non chiedemmo a nessuno di inginocchiarsi. Non bruciammo le bandiere del Liverpool, non le oltraggiammo, non praticammo violenze. Non eravamo e non siamo inglesi. L’altra sera, a Wembley, la vendetta gustosa.

 

 

E non è solo una questione di sport, bensì di rapporti, civiltà, rispetto. Arrivati alla finalissima grazie ad un arbitraggio di dubbia regolarità, gli inglesi pretendevano di vincere a colpi di prepotenza. Ma siamo in grado di esportare noi la buona educazione, nonostante loro. Siamo in grado di aiutare a casa loro questi hooligans in quantità industriale, la prossima volta qualcuno insegni loro ad usare le buone maniere, il fair-play non sanno più dove si è rifugiato. Abbiamo apprezzato la consueta sobrietà di Sergio Mattarella, i complimenti sinceri agli azzurri pronunciati anche da Mario Draghi, ma il giorno dopo la Grande Festa ci attendiamo che qualcuno dica a Londra che debbono vergognarsi per quanto è accaduto. A partire dalla bandiera nazionale oltraggiata. A partire dai fischi spudorati all’Inno di Mameli. Ma dov’era lo sport con i suoi valori, in quel grande stadio e un tempo prestigioso? Gentaglia, quella che ha sputato sul Tricolore italiano per le strade di Londra, e non è certo una giustificazione la loro evidente ubriachezza. Perché c’era anche chi filmava gli eroici gesti contro una bandiera e non muoveva un dito a tentare di fermare quei teppisti. Meriterebbero, costoro, un trattamento ben più volgare per il loro stendardo. Ma noi non siamo come loro. Siamo orgogliosamente italiani. E però non rinunciamo a chiederci perché tutto questo debba accadere in una finale europea, con tutto il prestigio che ne deriva, con le emozioni che trasmette, osservati dalle tv di mezzo mondo. Ci è toccato persino assistere al rifiuto della medaglia d’argento da parte degli atleti inglesi, come se fosse – è il caso di dirlo – lesa Maestà sconfiggerli a Wembley e addirittura ai rigori.

 

 

In redazione si sfoglia il librone dei ricordi e certo ci sono precedenti del gesto, ma resta uno schifo assistere all’esibizione della presunzione di chi pensa di non poter essere secondo a nessuno. E invece succede, Lord. Schifare una medaglia nello sport dovrebbe essere sanzionato duramente, e chissà se l’Uefa lo farà. E anche se è accaduto più volte, non significa dover rinunciare all’indignazione per un gesto che è l’esatto contrario dell’umiltà che si chiede ai campioni. Gli inglesi evidentemente non lo sono neanche moralmente, esattamente come tutti quelli che li hanno preceduti in esibizioni così ridicole. E se l’esempio viene da chi sta in campo non può esserci alcuna meraviglia per la teppaglia in azione. I social sono pieni di immagini di inutile violenza, quasi di rappresaglia anticipata per chi temeva la straordinaria forza d’animo dei campioni azzurri. E ci sono anche immagini di poliziotti inglesi che manganellano nostri tifosi. Altro che British, viene da dire e chissà se la Farnesina ha già fatto sentire la propria voce alle autorità di Londra. Perché non c’è stata tutela per i nostri tifosi, peraltro in un numero davvero ridotto rispetto alle decine di migliaia di inglesi presenti a Wembley? Chi doveva provvedere alla sicurezza dei nostri connazionali? Qualcuno sanzionerà il comportamento degli inglesi? In Parlamento si preannunciano interrogazioni, e una di queste sarà depositata dal senatore Antonio Saccone, dell’Udc. È da augurarsi che il ministro Di Majo si precipiti in Parlamento a rispondere al più presto, già potendo sfornare i risultati della sua iniziativa diplomatica. Se l’ha assunta davvero. Bisogna chiamarli a rispondere, questi inglesi, perché poi sono quelli che si indignano per chi si becca fischi e insulti sui social per i rigori che ha sbagliato. Quanta ipocrisia, poi sono quelli che pretendono che ci si inginocchi per i black lives matter, ma i loro rigoristi senza mira erano di colore... Chi è il più razzista del reame, specchio delle mie brame...

Ma quello che meraviglia di più, in una monarchia che si trasforma nella saga di Cafonal, lo stesso comportamento del Principe William, presidente d’onore della Federcalcio inglese. Anche lui si è unito - dopo il premier Boris Johnson - alla denuncia degli insulti razzisti contro i calciatori dell'Inghilterra che hanno sbagliato i rigori decisivi con l'Italia nella finale di Euro2020. «Sono nauseato», scrive William, «è totalmente inaccettabile che alcuni giocatori debbano questi simili comportamenti abominevoli». Questi episodi di razzismo - conclude dal suo profilo ufficiale reale di Kensington Palace - «devono finire ora e tutti coloro che ne sono responsabili devono risponderne». Non una parola sul razzismo antitaliano. Anzi, i «tifosi» inglesi hanno abbandonato lo stadio mentre si premiavano gli azzurri. Oxford, appunto. Non sono stati capaci di perdere. Figuriamoci se sanno come si vince. Chi non sa arrivare secondo non è degno di essere il primo.

 

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