Cesare Battisti trasferito nel carcere di Ferrara, lo sfogo durissimo di Alberto Torregiani
"Il mio silenzio forse vi ha sconcertato, forse si è fatto sentire e qualcuno mi ha pure rimproverato per non aver accennato nessun lamento, nessun appunto.... Invece l'ho fatto!....". Inizia così lo sfogo durissimo di Alberto Torregiani, figlio di Pierluigi, il gioielliere ucciso dai Pac di Cesare Battisti il 16 febbraio del 1979 a Milano, a sua volta rimasto paralizzato per un colpo di pistola alla spina dorsale durante la sparatoria. L'ex terrorista, condannato all'ergastolo per quattro omicidi e altri gravi reati, è stato trasferito dal carcere di Rossano (Cosenza) a quello di Ferrara. A farlo sapere qualche giorno fa è stato il Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). Al suo arrivo nel capoluogo estense Battisti ha annunciato di aver sospeso quello sciopero della fame iniziato il 2 giugno per protestare proprio contro il collocamento nella sezione del carcere calabrese destinata ai terroristi islamici.
"Chi mi conosce - scrive sui social Torregiani - sa bene che anticipo le mie dichiarazioni con le dovute riflessioni, con accertamenti dei dati e dei fatti. L'ho fatto anche in questa occasione, da oltre due mesi a raccogliere briciole di messaggi, di intese per capire il senso delle sue gesta. Sembrava dopo varie battute che vi fosse un barlume di ragione nelle richieste di un ergastolano che avrebbe e dovrebbe avere il diritto solo di stare in dolce silenzio, a rammentare le cause che lo hanno portato ad un isolamento che non è invaso dall'odio politico o civile richiesto (come qualcuno ancora prova ad infangare) dalle vittime. Si, queste in alcuni casi hanno usato parole crude, ma crude e condite dalla ennesima rabbia di non riuscire, almeno ora, ancora ad avere quella pace nella convivenza del dolore perche defraudata dalle solite manovre e parole indispettose di chi pretende senza resa il suo destino".
Il trasferimento di Battisti sarebbe stato dettato proprio da alcune condizioni di potenziale rischio per la sua sicurezza. Nell'ultimo periodo, infatti, nella sezione in cui era recluso si era creato un clima di possibile tensione sfociato poi anche in alcuni episodi specifici. "Chi mi conosce - sottolinea Torregiani nel suo durissimo sfogo - sa che non sono un garantista, SONO DI PIU', che ho sempre messo al primo posto il verbo della giustizia, anteposto sempre ai bisogni personali. E questo mio modo di vivere, mi ha portato un momento a pensare che forse, il diritto fosse stato violato, Ora, la fine della puntata di una telenovela nauseante che più nessuno vorrebbe seguire, ha scoperchiato quel cinismo che già conoscevamo dagli occhi beffardi davanti ad una birra, ha impietosito chi ancora crede (o meglio, approfitta per se) delle "ragioni" adottate solo per uno scopo personale. Impietosisce sempre quel povero cristo che per una battaglia di diritto attua lo "sciopero della fame" per attirare a se quell'attenzione che aprirebbe almeno il dialogo. Ma le ragioni erano diverse. Ora, non erano le condizioni disumane in cui soggiornava a disturbarlo, non erano le latrine senza mattonelle e fatiscenti, non erano le violate richieste di avere una penna per scrivere le sue memorie, ... erano i suoi amici islamici, gli stessi cui lui abbraccia la fede, gli stessi, sicuramente più svegli ed intelligenti di un deputato sconosciuto che si è preso la briga di dare conforto al compagno rosso e ottenere per Cesare una nuova residenza, più consona, più confortevole. Una residenza vicino al suo passato, vicino ai suoi morti, quasi come un ritorno a casa del figliol prodigo. Ed è questo che fa rabbia. Sapere che per una cazzata del genere vengono concessi doveri a chi doveri non ha diritto, quando gli stessi, per centinaia di altri detenuti, avrebbero più diritti di lui. Allora, dove sta e come viene applicata la Giustizia? Va bene solo se sei C.B. ma non vale per un "nessuno" qualunque? E' solo qui che ci si indigna, si smuovono mari e monti? Si trova un buco più confortevole? Quello che indigna è l'accanimento nel sostenere sempre che Caino ha ragione dimenticandosi ogni qualvolta che le vittime hanno solo un desiderio; vivere il loro dolore in pace, nel silenzio delle parti, nella certezza di una giustizia ottenuta che, a quanto pare, ancora non ha compiuto il suo cammino".