riforme delle toghe
Giustizia, la fatwa dell'Anm sui referendum causerà il boom nella raccolta firme
Il referendum per riformare la giustizia, avversato dalle forze reazionarie interne alla magistratura e alla sinistra giustizialista, su cui la Lega di Matteo Salvini si è organizzata per una mobilitazione di massa, ha ricevuto la fatwa del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, con una dichiarazione intimidatoria: «Siamo pronti a una ferma reazione». L’esponente apicale del sindacato dei togati entra a gamba tesa su una procedura legale e su un istituto giuridico contemplato dalla Costituzione (art. 75) come se volesse inibire e vanificare le prerogative partecipative dirette dei cittadini alla vita politica del Paese. Le statistiche consultabili dalle fonti ufficiali illustrano dei dati allarmanti sul nugolo di innocenti che patiscono misure detentive, tanto è vero che sono migliaia i procedimenti per ingiusta detenzione che emettono provvedimenti risarcitori per milioni di euro. Nel 2018 le ordinanze di liquidazione per le ingiuste detenzioni hanno raggiunto la cifra rilevante di oltre 33 milioni di euro. Certamente ci sono giudici che sbagliano in buona fede, altri indotti in errore dalla carenza di strutture idonee all’accertamento delle contestazioni ed alcuni si ritengono depositari del dogma dell’infallibilità nella convinzione pervicace e distorsiva di incarnare il verbo della verità.
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La lentezza dei processi, che i grillini vorrebbero cronicizzare con l’operatività dell’abrogazione della prescrizione, rappresenta un ulteriore inefficienza ed ingiustizia del sistema giudiziario che contraddice, peraltro, quanto stabilito sulla ragionevole durata del processo all'articolo 111 della Carta. Inoltre, la malagiustizia ha un impatto economico negativo, sottraendo opportunità di investimento con le aziende straniere che preferiscono insediarsi altrove anziché in una realtà soverchiata dall’incertezza in materia giudiziaria. Studi accreditati quantificano gli effetti della malagiustizia in perdite pari al 2% del Pil. Dunque, l’esigenza improrogabile di riformare la giustizia non si circoscrive solo alla sfera dei diritti, coinvolgendo anche l’ambito economico. Il mercimonio correntizio che è emerso dal libro-inchiesta dell’ex capo dell’Anm, Luca Palamara, non consente ulteriori indugi nel riformare l’ordinamento giudiziario e l’appello alla resistenza pronunciato da Santalucia, per ostacolare la consultazione referendaria, avrà l’effetto di rinvigorire la raccolta delle firme dei promotori che inizierà il 2 luglio. La reazione scomposta del vertice dell’Anm che teme un plebiscito contro i privilegi della categoria che rappresenta, in netta discesa nel gradimento popolare, attesta la retroguardia di interessi incompatibili con le necessità di modernità che esprime la società italiana.
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I magistrati dovrebbero asservirsi alle leggi e non alle correnti. La riforma della giustizia rappresenta una tutela anche per la maggioranza operosa dei magistrati che svolgono il proprio servizio senza clamore, rifuggendo dagli intrighi di potere e dall’assillo di ghermire premialità attraverso le appartenenze ai trust correntizi. I quesiti referendari si propongono di introdurre la responsabilità civile del giudice, di separare le carriere fra giudice inquirente e giudicante, di limitare l’abuso del carcere preventivo, di disinnescare l’applicazione automatica della legge Severino, di agevolare la candidatura dei magistrati al Csm senza il vincolo delle correnti e di rendere più eque le valutazioni sulla professionalità dei togati.