incubo finito

Marò, una battaglia di controinformazione. E oggi godiamo più di tutti

Gian Marco Chiocci*

Il Tempo, il nostro Tempo, è galantuomo. Dopo anni di battaglie combattute in beata solitudine oggi questo giornale gode più di chiunque altro alla notizia dell’archiviazione tombale sul caso dei due marò. Versando un obolo da un milione di euro per risarcire le famiglie dei pescatori indiani morti sparati in acque infestate di pirati, con 9 anni di ritardo una certa Italia senza vergogna canta vittoria nel tentativo di cancellare una delle pagine più buie e imbarazzanti della sua storia diplomatica.

Ben tre governi verranno ricordati per essere finiti in ostaggio di uno Stato straniero che già deteneva illegalmente i fucilieri di Marina di scorta alla nave Enrica Lexie. Due leoni del battaglione San Marco, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, finiti nel posto sbagliato al momento sbagliato, accusati prima ingiustamente (come emerso dalle indagini) e poi abbandonati al loro incerto destino, difronte al mondo hanno tirato fuori le palle a differenza dei nostri politici, dei nostri ambasciatori, della nostra stampa specializzata nel picchiare sempre e a prescindere sulle divise.

Soli e dimenticati per giorni, mesi, anni, i marinai hanno patito senza fiatare le lunghe carcerazioni, le umiliazioni indicibili, trattati come pacchi di Amazon su e giù fra l’India e l’Italia perché vittime delle ritorsioni commerciali Indiane e dei distinguo burocratici nostrani: per quasi dieci anni hanno stretto i denti e mostrato il meglio di un’Italia che non li meritava. Ed è per questo che Il Tempo, sin dal 2014, si è intestato una battaglia di verità e di controinformazione ai pregiudizi, agli stereotipi, al pensiero unico col paraocchi.

Il gesto più eclatante di questa campagna pro-marò avvenne a gennaio, allorché dalle finestre di palazzo Wedekind in piazza Colonna, proprio dirimpetto Palazzo Chigi, srotolammo uno striscione gigantesco (“Riportiamo a casa i marò”) che rimase appeso a mo’ di sberleffo fino al ritorno di Massimiliano e Salvatore. Con associazioni di militari e cittadini semplici organizzammo manifestazioni e sit in, raccogliemmo firme, intervistammo esperti, tecnici, periti, consulenti, diplomatici, politici, esperti di diritto internazionale, docenti universitari, artisti e intellettuali, tentammo addirittura un blitz al festival di Sanremo con Fabio Fazio indispettito dal fuoriprogramma di quelle signore, Paola e Vania, piombate a sorpresa in sala stampa coi foulard dei mariti marò zuppi di lacrime.

Sette anni e siamo ancora qua, a rievocare quei giorni e a stigmatizzare chi oggi, anziché andare a nascondersi, brinda spavaldo. La storia dei due marò è una brutta storia anche per quei giornalisti che allora sputarono sulle divise dei due marinai e oggi si appellano alle massime istituzioni per riportare (giustamente) a casa l’attivista egiziano Zaki. Diffidate di chi la storia la riscrive per opportunismo politico o convenienza di bottega. Il disonore tricolore sui due marò è scritto nella pietra, chi dimentica è complice.
 

di Gian Marco Chiocci (direttore Adnkronos, ex direttore de Il Tempo)*