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Non è l'Arena, "irriconoscibile, un piccolo prete". L'intervistatore di Giovanni Brusca: “Si credeva onnipotente, ma non lo era"

Giorgia Peretti
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La scarcerazione di Giovanni Brusca riecheggia anche negli studi di Non è l’Arena. Il programma serale di Massimo Giletti in onda su La 7, chiude la stagione televisiva con un’intervista esclusiva a Mosco Levi Boucault, il regista francese che 5 anni fa incontrò Brusca in carcere e che nel documentario “Corleone” raccolse per la prima volta il suo perdono ai parenti delle sue vittime. Fedelissimo del capo dei capi di Cosa nostra, Totò Riina, ha avuto un ruolo decisivo nella strage di Capaci e nell'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e poi sciolto nell’acido. Un caso che continua a dividere l’opinione pubblica. Sebbene il procedimento sia avvenuto nel rispetto della legge, la sua scarcerazione ha sollevato un’ondata di indignazione nel paese. “Lo scanna cristiani” dopo aver scontato 25 anni di detenzione nel carcere romano di Rebibbia, uscito con 45 giorni di anticipo rispetto alla scadenza della sua condanna, sarebbe pronto a cominciare una nuova vita. In onda stralci del documento girato nel 2018 in una sala colloqui del carcere dove Brusca era detenuto:“Ho riflettuto e ho deciso di rilasciare questa intervista. Non so dove mi porterà, spero di essere capito. Faccio i conti con me stesso, è arrivato il momento di metterci la faccia anche se per motivi di sicurezza non posso. Ma è nello spirito e nell’anima di farlo. Ho l’opportunità di poter chiedere scusa e perdono alle famiglie delle vittime a cui ho creato tanto dolore e tanto dispiacere. Ho fatto il possibile per dare il mio contributo e per dare un minimo di spiegazione ai tanti che cercano verità e giustizia. Il collaboratore di giustizia consente di mettere fine a quella che io chiamo una fabbrica di morte, un’agonia continua, Cosa Nostra”.  

 

 

Un documentario, anch’esso, molto discusso che ha acceso la polemica sulla reale intenzione del collaboratore di giustizia.  A svelare i retroscena di quell’incontro è l’autore della ripresa. Non vuole comparire – annuncia Giletti - ma già avere la sua voce è importante: “Quando si fa un lavoro del genere, molto complesso si entra per forza in un rapporto con la persona che si ha davanti per questo chi fosse l’uomo che si è trovato davanti quel giorno”. Mosco Levi Boucault risponde: “Quando l’ho visto arrivare non l’ho riconosciuto. Fisicamente era completamente diverso. Più piccolo, meno forte, meno grasso. Insomma, ho detto: ma sei tu Brusca? E lui mi fa: sì”. Un impatto, quello del regista francese, che non rispecchia le sue aspettative: “Eh allora da lì... come dire… Sembrava un piccolo prete. Tutto questo significa che 25 anni in galere non sono una passeggiata. Dunque, fa un effetto anche sul fisico e penso anche sul morale”. Boucault sembra fiducioso sulle informazioni svelate da Brusca alla magistratura: “Se lui oggi è libero è perché alla magistratura ha detto tutto. Un collaboratore di giustizia si mette a disposizione della giustizia e deve dire la verità. Se racconta delle balle e se il magistrato lo scopre, ritorna in carcere”. Poco dopo specifica: “Non penso che abbia detto tutto, perché nessuno dice tutto. Però ha detto una buona parte, ha provato a spiegare per esempio il terrore nel quale ha vissuto… la prepotenza nella quale si trovava. Si pensava al di fuori di tutto, come dire ha fatto un lavoro di riflessione, si pensava onnipotente e non lo era”, conclude il regista.

 

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