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Virologi, Ministero e Cts al gran ballo dei vaccini: caos sul mix per la seconda dose

Dario Martini
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AstraZeneca vietato a chi ha meno di 60 anni e seconda dose con Pfizer o Moderna. La decisione presa venerdì dal ministro Speranza ha riportato chiarezza nella campagna vaccinale? Pare proprio di no. I virologi si dividono sull'opportunità di somministrare un richiamo differente. Anche il Cts preferisce non esporsi troppo. Così le Regioni vanno in confusione. La Lombardia inizialmente non accoglie l'indicazione del Ministero, poi ci ripensa, complica una telefonata di Speranza alla Moratti. Intanto, cresce la confusione sul vaccino targato Johnson & Johnson. Si scopre che nessuna disposizione al riguardo è stata presa da Ministero e Cts. Resta la «raccomandazione» di somministrarlo a chi più di 60 anni, ma non c’è alcun divieto per i più giovani. Salvo l’ulteriore raccomandazione di non usarlo negli open day. Alcune Regioni, però, fanno di testa loro. Piemonte e Liguria decretano lo stop di questo siero a tutti gli under 60, sempre e comunque. Una presa di posizione che non può non spiazzare chi vive in altre regioni. Nel Lazio, ad esempio, su J&J resta tutto come prima.

 

 

Riguardo a Johnson & Johnson, il ministero della Salute non stabilisce regole nuove, ma si limita ad allegare il parere del Cts. Gli esperti mettono nero su bianco che non è possibile sbilanciarsi. «Pur tenendo conto delle analogie esistenti tra il vaccino Vaxzevria (il nome del farmaco prodotto da AstraZeneca, ndr) e il vaccino Janssen (Johnson & Johnson, ndr) per quanto riguarda sia le piattaforme che la tipologia di eventi tromboembolici riportati nella letteratura - spiega il Cts - lo stato attuale delle conoscenze (che fanno propendere per un rischio associato all’adenovirus), il numero di poco superiore al milione di dosi a oggi somministrate nel Paese e la rarità, anche in ambito Europeo, delle segnalazioni di VITT (trombocitopenia trombotica indotta da vaccino, ndr) a oggi disponibili, non permettono di trarre valutazioni conclusive rispetto al rapporto beneficio/rischio relativo al vaccino Janssen, connotato dal vantaggio della singola somministrazione, peculiarità che può risultare di particolare beneficio in determinate categorie di popolazione».

Dopo aver constatato che i dati disponibili non ci permettono trarre conclusioni, il Cts ricorda comunque che «il vaccino Janssen viene raccomandato, anche alla luce di quanto definito dalla Cts di Aifa, per soggetti di età superiore ai 60 anni». Ciò non significa che non sia consigliabile, in alcune condizioni, anche a chi è più giovane: «Qualora si determinino specifiche situazioni in cui siano evidenti le condizioni di vantaggio della singola somministrazione ed in assenza di altre opzioni - aggiungono gli esperti - il vaccino Janssen andrebbe preferenzialmente utilizzato, previo parere del Comitato etico territorialmente competente». Nessun rischio trombosi, quindi? Anche su questo aspetto non c’è sicurezza. Bisognerà continuare a tenere alta l’attenzione. «L’eventuale evidenza nel contesto nazionale e internazionale, di fenomeni tromboembolici dopo vaccino Janssen - spiega ancora il Cts - dovrà essere oggetto di attento e costante monitoraggio attraverso le procedure di farmacosorveglianza e vaccino-vigilanza, in maniera tale da offrire, nel breve futuro, la possibilità di formulare più compiuto parere su questo vaccino all’acquisirsi di ulteriori evidenze rispetto all’eventuale incidenza di fenomeni VITT e all’evolversi della situazione epidemiologica». Ecco spiegato per quale motivo Piemonte e Liguria hanno preferito stabilire il divieto del J&J a chi ha meno di 60 anni.
Tornando ad AstraZeneca, il Cts sceglie di non esporsi in modo perentorio sulla seconda dose agli under 60. Preferisce ricorrere alla formula della «raccomandazione» di un richiamo con un vaccino a mRna (Pfizer o Moderna), che «dovrebbe avvenire – sulla base di studi disponibili – a una distanza compresa tra le 8 e le 12 settimane dalla prima dose» con AstraZeneca. Il Cts riconosce, però, che la cosiddetta vaccinazione eterologa (con due vaccini diversi tra prima e seconda dose) non dispone di un numero sufficiente di studi pubblicati. Ma scrive anche che «non appare sconsigliabile né sul fronte della sicurezza (reattogenicità), né su quello della immunogenicità». Non tutti, però, ne sono convinti.

 

 

Il microbiologo Andrea Crisanti è decisamente contrario: «Dal punto di vista teorico e immunologico non dovrebbero esserci problemi, però c’è un aspetto formale da non sottovalutare, nel senso che questa è una combinazione di cui non si sa efficacia e durata». Imporre agli under 60 di cambiare con la seconda dose «è una procedura che non è stata validata. Magari funziona pure, però abbiamo degli organi regolatori a cui è demandata la regolazione di queste procedure, non è che uno si alza la mattina e le cambia. Nessuno può dire se il mix sia sicuro. Senza i dati non ci si vaccina». Anche Massimo Andreoni, direttore di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, sottolinea la mancanza di dati scientifici consolidati. Nutre «forti dubbi», e ammonisce: «Non dobbiamo correre il rischio di inseguire nuove strategie che non siano state completamente dimostrate».

Gli stessi dubbi di Crisanti e Andreoni devono essere venuti alla Regione Lombardia che, in un primo momento, ha fatto sapere che per adeguarsi al "cocktail" dei vaccini avrebbe aspettato un «autorevole parere scientifico» da parte dell’Aifa. Un brutto colpo per il ministro Speranza, che ha subito chiamato l’assessore regionale al Welfare, Letizia Moratti, e l’ha convinta a cambiare idea. Così anche la Lombardia ha dato il suo ok. Il rischio è che tutti questi ripensamenti incidano negativamente sulla fiducia dei cittadini nei confronti di alcuni farmaci contro il Covid. Ne è convinto l’infettivologo Matteo Bassetti, per il quale tutta la vicenda di AstraZeneca alla fine ci dice che «la decisione è di buon senso», ma «si è decretata la morte dei vaccini a vettore virale». L’altro siero di questo tipo è proprio il Johnson & Johnson. «È evidente che c’è stato un corto circuito a livello comunicativo - aggiunge Bassetti - e non si può ignorare che la gente ha paura o è diffidente, visto che l’obiettivo della campagna è vaccinare più persone possibili. La scienza deve dare messaggi, ma non possiamo ignorare l’opinione pubblica».

 

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