giustizia grottesca

Distrutte le scelte del pm, la strage della funivia è senza colpevoli

Franco Bechis

Non vorrei che adesso la responsabilità della tragedia della funivia del Mottarone e di quei 14 morti in modo così terribile e crudele finisca sulle spalle di qualche lavoratore stagionale che a qualche centinaio di euro al mese faceva salire sulla cabina maledetta i turisti. Perché è una delle ipotesi investigative di una storia che sta diventando grottesca.

Erano passate poche ore dalla tragedia quando il procuratore di Verbania Olimpia Bossi, magistrato che quel ruolo ricopre da inizio 2016, ha disposto il fermo del proprietario della società di gestione della funivia, Luigi Nerini, del caposervizio tecnico Gabriele Tadini e del direttore d'esercizio, Enrico Perocchio. Tutti e tre sono stati liberati dal carcere poco prima della mezzanotte del sabato con provvedimento adottato dal gip Donatella Bonci Buonamici, che ha confermato gli arresti - ma domiciliari - solo per Tadini, accogliendo per altro la sola richiesta fatta nei confronti dell'assistito dal suo avvocato difensore che non ne ha chiesto la liberazione come accaduto per gli altri due perché Tadini ha confessato di avere dato l'ordine di bloccare i freni di emergenza di quella cabina che altrimenti non sarebbe precipitata.

 

 

 

Nel giro di pochi giorni dunque è stato ribaltato l'impianto di accusa e il gip scrive pure che se è vero che l'ordine di inserire i «forchettoni» che bloccavano i freni della funivia era stato dato da Tadini, è vero che tutti i dipendenti lo conoscevano con tutti i rischi che comportava e che quindi potevano rifiutarsi di obbedire a quell'ordine. Ecco perché ho iniziato a raccontare la cronaca di queste ore con il timore che alla fine il colpevole diventi il lavoratore stagionale che quel giorno manovrava la funivia. L'inchiesta così sta prendendo una piega che ovviamente sconcerta i familiari che piangono le vittime e probabilmente l'intera opinione pubblica.

Perché chiunque abbia assistito all'orrore di quello che è successo (intere famiglie sterminate, corpi fatti a pezzi a trovati un po' qua e un po' là) è - per dirla con parole tenui - disorientato dal balletto delle decisioni della magistratura. Perché a chiunque vengono domande banali: se qualcuno ha ordinato la disattivazione dei freni di emergenza, per che motivo lo avrebbe fatto? Per puro sadismo? Per causare la tragedia poi avvenuta? O per evitare - come sosteneva il pm - che anche disservizi di poco conto causassero l'interruzione del servizio mandando a rotoli l'esercizio della tratta che per lungo tempo era stato chiuso per i dpcm coronavirus? E a vantaggio di chi sarebbe avvenuto questo? Queste sono domande semplici e anche immediate, tanto più in una società che nel 2019 faceva un utile pari al costo del personale, oneri sociali compresi. Ma ora risposta non c'è più.

 

 

 

Ecco, è nella carne viva di un dramma appena vissuto e spaventoso come questo che si cala il dibattito un po' stucchevole su garantismo e giustizialismo suscitato dalla lettera di scuse di Luigi Di Maio all'ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, appena assolto in appello per una vicenda giudiziaria che non si è ancora conclusa, visto che esiste ancora il terzo grado di giudizio. La possibile svolta del M5s sulla giustizia - assai raffreddata ieri da Giuseppe Conte - sembra in realtà un dibattito interno alla casta - per usare una parola che non mi piace ma che rende bene l'idea. E mi si perdonerà se noto che quella vicenda che suscita tanto dibattito sia davvero di poco, pochissimo conto: più un tema di regolamento o meno di conti interno alla politica che una svolta sulla giustizia.

È sulla funivia del Mottarone che bisogna mettersi davvero alla prova. Ed è difficilissimo: perché è vero che ognuno è innocente fino a condanna in terzo grado di giudizio, ma è sacrosanto pure che ottenga giustizia senza essere preso in giro chi ha perso in modo così orribile i propri cari in una giornata che doveva essere solo di relax familiare. In casi come questi si vorrebbe un pugno battuto in modo chiaro e severo sul tavolo dalla giustizia già nell'immediatezza della strage, e difficilmente ci sono bandiere garantiste pronte a sventolare. Possiamo discutere se necessario o meno un provvedimento di custodia cautelare in carcere, ma qualche tempo di restrizione temporanea della libertà - fosse anche a domicilio - non sarebbe distorsione del sistema giudiziario così grave, e forse aiuterebbe a riflettere meglio chi comunque ha preso e supportato decisioni poi rivelatesi criminali con tanta leggerezza, sperando solo in un destino particolarmente benigno. Le garanzie ci saranno per chiunque nel percorso processuale dove si valuteranno le responsabilità dei singoli, gli eventuali pentimenti, le dichiarazioni mendaci o meno. In una settimana questo pugno duro che si trasforma in guanto morbido non solo offende e disorienta chi è già stato vittima di tutto questo, ma fa male anche alla giustizia.