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La Corte dei conti non ha bocciato Reithera. La verità sul vaccino italiano

Fernanda Fraioli
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Ha suscitato molto clamore la decisione della Corte dei conti di non registrare il decreto governativo per la produzione del cosiddetto «vaccino italiano» di Reithera. Al di là del libero giudizio che ciascuno può avere, le polemiche sono scoppiate senza neppure conoscere le ragioni della scelta dei magistrati contabili. Ora che le motivazioni sono state depositate il 20 maggio, si può ragionarne almeno conoscendo perché è stata fatta questa scelta. Non ha nulla a che vedere con la validità o meno della sperimentazione del vaccino, perché non ci sarebbe competenza per giudicare. 

 

Il vero problema è che il decreto del governo stabiliva nel dettaglio lo scopo del finanziamento accordato. Alcune cose si potevano finanziare, altre no. Come – ed è la principale ragione della bocciatura – l'acquisto per 4 milioni di euro della sede operativa di Reithera, che non è affatto un impianto di «infialamento e confezionamento» del vaccino, come stabiliva il decreto, ma il luogo dove Reithera svolgeva attività di ricerca e sviluppo a favore della società controllante, la svizzera Keires AG». 

 

Per l’altro l’investimento complessivo citato in questo capitolo ammontava a 7,7 milioni di euro, cifra inferiore al minimo previsto dalla legge per operazioni di questo tipo, che è 10 milioni di euro, e quindi non può essere ammesso. Si è detto che così non può più essere sviluppato il vaccino italiano. Ma non è vero, perché la mancata registrazione del decreto governativo sugli investimenti produttivi non ha nulla a che vedere con il prosieguo delle fasi 2 e 3 della sperimentazione del siero, che possono tranquillamente continuare, come ha per altro sostenuto l'infettivologa del Policlinico che se ne occupa. 

Se, allora, la sperimentazione può continuare perché la mancata registrazione dell’atto ha inciso soltanto sulla sua efficacia e, quindi, sulla sua capacità di produrre effetti giuridici con riferimento al previsto scopo del finanziamento, resta da chiedersi cosa è ancora possibile fare. Anche qui la legge è chiara: esiste la possibilità per il governo di chiedere la c.d. «registrazione con riserva». L’Amministrazione interessata – che in questo caso è il Ministero dello sviluppo economico – può chiedere al Consiglio dei Ministri un’apposita deliberazione con la quale questi, laddove ritenga che il provvedimento sottoposto al controllo preventivo, pur se non ha superato l’esame, risponde comunque a superiori interessi pubblici e per questo debba avere ugualmente corso, lo rinvia nuovamente alla Corte dei conti, la quale deciderà, in questa fase, a Sezioni Riunite.

 

Laddove il Supremo Consesso non ritenga venute meno le motivazioni che hanno portato al rifiuto, ordina la registrazione dell’atto apponendo il visto con riserva il che consente all’atto così registrato di acquistare efficacia piena con spostamento della responsabilità, in questo caso politica, del Governo per la richiesta fatta, in quanto la Corte dei conti periodicamente trasmette al Parlamento l’elenco di tutti gli atti registrati con riserva. Non trattandosi, quindi, di un rifiuto di registrazione assoluto – altro istituto pure previsto, ma per differenti ipotesi che avrebbe avuto l’effetto di annullare il provvedimento – spazi ancora ne residuano.

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