Omnibus, la liberalizzazione dei vaccini non serve. Il prof Abrignani svela la verità su brevetti e tecnologia
Si discute sul tema dei vaccini negli studi di Omnibus, il programma mattutino condotto da Alessandra Sardoni e Gaia Tortora. Nella puntata di venerdì 21 maggio è ospite il professor Sergio Abrignani, immunologo del policlinico universitario di Milano e componente del Comitato Tecnico Scientifico. In merito alla liberalizzazione dei brevetti sui vaccini anti-Covid proposta dal presidente americano Jhon Biden, si è detto contrario. Secondo l’immunologo il problema principale che si incontrerebbe nell’esportare i brevetti sarebbe proprio la qualità della produzione di questi sieri. Le tecnologie a disposizione nei paesi in via di sviluppo non sarebbero in grado di fornire un prodotto idoneo alla somministrazione. I limiti produttivi non sarebbero tanto legati alla liberalizzazione dei brevetti bensì alle capacità produttive e agli alti standard qualitativi necessari per produrre il vaccino anti-Covid, soprattutto nei sieri a mRNA come quello di Pfizer/BioNTech o di Moderna.
Dunque, la sola condivisione delle formule prodotte dalle case farmaceutiche non risolverebbe il problema se le competenze necessarie alla produzione non garantiscono uno standard idoneo a non mettere al rischio la salute delle persone. Abrignani interviene così: “La liberalizzazione dei vaccini non servirà a nulla. Già farli in Italia, Spagna e in Francia, questi vaccini “high tech” di oggi è terribilmente complicato. Il trasferimento di queste tecnologie in paesi sottosviluppati è complicato, il problema non è tanto la liberalizzazione. Io suggerirei un forte investimento per darlo a tutti al mondo, ma che lo facessero nel mondo occidentale perché una produzione su cinque va già male qui. Tutti i ritardi che abbiamo è perché anche nel mondo occidentale, il più evoluto, ascoltiamo continuamente i ritardi di vaccini come Pfizer, Novavax e Moderna hanno fallito nei lotti di produzione.” – spiega Abrignani.
L’idea del professore sarebbe quella di vaccinare il prima possibile l’occidente garantendo una buona percentuale di immunizzati per poi distribuire ai paesi in difficoltà le eccedenze di produzione. “Il fatto che si vaccini prima il mondo occidentale in questo caso è ovvio. Sappiamo che il 97 per cento dei morti sono ultrasessantenni. Il mondo in via di sviluppo ha una età media decisamente più bassa, quindi, la letalità è molto più bassa. È normale che l’America vaccini prima sé stessa e poi li dia come è normale che l’Europa vaccini prima tutti i paesi europei e poi li dia.” – conclude il prof.