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A Propaganda Live sinistra in tilt tra Rula Jebreal e la rider sfruttata

Benedetta Frucci
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Il Cortocircuito progressista è andato in onda lo scorso venerdì su La7, a Propaganda Live, fortissimo punto di riferimento della gauche caviar, quella che pensa, conta e distribuisce patenti di legittimità politica e intellettuale. Rula Jebreal, giornalista di origine palestinese, rifiuta l’invito a partecipare al programma tv contestando il fatto di essere l’unica donna presente. Normalmente ci si sarebbe aspettati una levata di scudi da parte della sinistra in suo favore e invece, questa volta, guarda un po’, le critiche piovono copiose sulla giornalista. La difesa di Zoro, il conduttore, sembra quella di un fiero conservatore colpito dall’ascia del politicamente corretto: noi invitiamo sulla base della competenza, dice, non del sesso. Dichiarandosi quindi, di fatto, contrario alle quote rosa. Non osiamo immaginare cosa sarebbe accaduto se una simile polemica non avesse investito un conduttore del sacro gotha di Propaganda, ma uno come Nicola Porro o Massimo Giletti. In questo caso invece, silenzio, come a dire: va bene la Jebreal, ma Propaganda non si tocca.

 

 

Stesso programma, nuovo cortocircuito. Una rider assunta presso un ristorante romano viene fermata oltre l’orario del coprifuoco. Da un controllo della guardia di finanza, risulta che la ragazza non è contrattualizzata. Lavoro nero, insomma. Il proprietario del ristorante è Roberto Angelini, musicista del team di Propaganda Live. Verrebbe da pensare che gli intellettuali molto radical e molto chic, se pure si sono fermati davanti alla questione femminile e ai diritti civili, non possano tacere di fronte a una palese lesione dei diritti sociali. Loro sono La sinistra, l’unica che può dirsi legittimata a difendere i lavoratori, tutto il resto è destra. Come potrebbero dimenticare l’impegno della trasmissione tv contro il precariato, i voucher, in favore dei diritti e l’evidente mancanza di coerenza fra le parole e i fatti? E invece no. Piovono commenti di solidarietà al ristoratore, da Jovanotti, a Elodie, a Max Gazzè. La vicinanza viene espressa su Instagram, con cuoricini ed emoticon affettuose, sotto al post-difesa di Angelini che definisce, fra l’altro, la rider “una pazza incattivita dalla vita”. I ristoratori d’improvviso non sono più gli evasori, untori, che dovrebbero chiudere e cercarsi un lavoro da dipendenti, come suggerì Corradino Mineo in un illuminante post su Facebook, ma lavoratori in difficoltà, a cui si può perdonare perfino la mancata regolarizzazione di un dipendente. Niente di cui stupirsi.

 

 

Da Tangentopoli, quando prendere fondi provenienti dall’ Unione sovietica era tollerabile, mentre il resto era marcia illegalità, la sinistra postcomunista ha affidato la sua sopravvivenza e la sua egemonia culturale alla politica della doppia morale. Quello che conta non sono le donne, i lavoratori o gli omosessuali. Quello che conta è la difesa militarizzata del proprio patentino di moralità. Lo ha messo bene in evidenza Enrico Letta, quando ha usato la questione femminile per sostituire i due capigruppo Pd a lui sgraditi, Marcucci e Del Rio, per poi non riuscire a proporre un candidato sindaco donna alle prossime amministrative. E non è un caso, se gli unici governi che hanno visto l’aumento effettivo dei posti di lavoro, si sono visti scendere in piazza i sindacati che si stracciavano le vesti in difesa dell’articolo 18. Non è neppure un caso che le misure di sostegno alla famiglia, le uniche che sarebbero in grado di risolvere in modo sostanziale il problema della parità di genere, vengano guardate con occhio sprezzante da quel gotha intellettuale che a un assegno familiare o a un asilo nido in più preferisce, senza dubbio, chiamare un Direttore d’orchestra Direttrice o un Presidente Presidenta. È la degenerazione del politicamente corretto, che guarda alla forma e mai alla sostanza, ergendosi su un palco di superiorità morale oramai solo presunta.

 

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