Vaccino, Unione Europea furiosa con gli Stati Uniti sulla questione brevetti: tre righe che imbarazzano
L’Ue «è stata informata solo poco prima» della dichiarazione della rappresentante Usa al Commercio Katherine Tai, che si è detta favorevole a sospendere le tutele della proprietà intellettuale relative ai vaccini contro la Covid-19. Inoltre, sarebbe bene che gli Usa spiegassero «esattamente che cosa vogliono dire con l’annuncio di Tai». Infine, «non stiamo negoziando in sede Wto, stiamo discutendo: non si negozia sulla base di una dichiarazione di tre righe». Bastano queste tre frasi, pronunciate da alti funzionarie Ue, per comprendere l’irritazione che ha suscitato a Bruxelles il cambiamento di linea degli Usa sui brevetti dei vaccini, dei quali gli States, campioni mondiali del pharma, sono tradizionalmente strenui difensori.
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Per l’Ue, riferisce l'Adnkronos, la proposta Usa è quanto mai indeterminata e andrà definita meglio: «Siamo pronti a impegnarci su questo argomento, non appena verrà presentata una proposta concreta», ha tagliato corto a Oporto Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo. Fino a qualche settimana fa nella capitale comunitaria si pronosticava, neanche tanto tra le righe, che l’Ue avrebbe dovuto mediare tra gli Usa, strenui difensori dei brevetti, e India e Sudafrica, Paesi con significative capacità produttive in campo farmaceutico, che hanno chiesto la rimozione della protezione dei vaccini, per poterli produrre e combattere così la pandemia anche nei Paesi più poveri. Ma sono bastate quelle «tre righe» di Katherine Tai per mettere l’Ue, e in particolare la Germania, nel ruolo di difensore ad oltranza della proprietà intellettuale dei vaccini. Una posizione scomoda, in un’ottica di marketing politico, anche perché la presidente della Commissione Ursula von der Leyen da mesi definiva il vaccino un ’bene comune globale’.
Le capitali dell’Ue hanno posizioni differenziate sulla materia, ma Berlino si è apertamente schierata in difesa della proprietà intellettuale, un istituto prezioso, che protegge e remunera la ricerca. I brevetti che coprono i vaccini, come altri farmaci, servono ad evitare che venga disincentivata e depressa l’innovazione. Sviluppare un farmaco, o un vaccino, comporta costi enormi, anche perché molti non reggono in fase di sperimentazione e devono essere abbandonati. Per questo i brevetti assicurano, a chi investe in ricerca, un monopolio temporaneo, che consente di guadagnare molto, remunerando così lo sforzo compiuto. Se farmaci e vaccini non fossero protetti da brevetti, le aziende si limiterebbero a copiare prodotti sviluppati dalla concorrenza, e nessuno avrebbe più motivo di investire nella ricerca e nell’innovazione. Se non ci fosse la protezione della proprietà intellettuale, le case farmaceutiche, imprese che danno anche lavoro qualificato e spesso ben remunerato, non avrebbero investito miliardi di dollari (con un robustissimo sostegno da parte degli Stati, alcuni dei quali non hanno badato a spese, come gli Usa di Donald Trump) per sviluppare i vaccini contro la Covid-19, grazie ai quali si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel della pandemia. Questo al netto degli inconvenienti che ogni monopolio comporta, come gli aumenti dei prezzi in assenza di concorrenza, e degli abusi.
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La linea dell’Ue, di fronte all’offensiva degli Usa, i quali hanno uno sguardo globale e devono contrastare l’offensiva di Cina e Russia nel campo dei vaccini, è che la tutela della proprietà intellettuale «non è un ostacolo» nella soluzione del problema numero uno: come aumentare, rapidamente, la capacità produttiva globale dei vaccini necessari a combattere il coronavirus Sars-Cov-2 e la malattia che provoca. Per Bruxelles i brevetti oggi non sono un problema. E, ove mai dovessero diventarlo, spiega un’alta funzionario Ue, «l’accordo Trips (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, ndr) contiene già le soluzioni» necessarie ad aggirarlo, come le licenze obbligatorie.
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