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Parla Francesco Vaia, direttore dello Spallanzani: "Covid? Basta con il coprifuoco, non ha valore scientifico"

Pietro De Leo
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«Rivolgo un appello ai giovani. State attenti, rispettate le regole, non fate assembramenti. Dobbiamo evitare di fare il gioco dell'oca e tornare alla casella precedente, per poi consentire a tanti gufi e gufetti del virus di gridare "ve l'avevamo detto"». A parlare è Francesco Vaia, direttore dello Spallanzani di Roma, con cui Il Tempo ha ragionato su vaccini e coprifuoco.

 

 

Professor Vaia, il coprifuoco è di nuovo al centro del dibattito. Lei lo sposterebbe?
«Allora, innanzitutto ho sempre detto che il nome non mi piace, perché evoca guerra e distruzione. Osservato questo, va fatta notare una cosa: il cosiddetto coprifuoco è un aspetto che non ha valore scientifico, ma semmai di deterrente, per ridurre la possibilità di contatti ed evitare assembramenti. Sul piano scientifico può essere fissato alle undici di sera o a mezzanotte, ma nulla cambia. Per questo secondo me va compiuto un ragionamento diverso: gli italiani meritano un premio, ma si può riprendere a vivere, se si rispettano ancora certi comportamenti e si utilizza cautela nelle azioni. Perché non possiamo dare legna da ardere ai catastrofisti».

Quindi lei sostiene che, se noi rispettassimo i protocolli, il coprifuoco si potrebbe anche togliere del tutto?
«Dico di si, dico che si può riaprire, ma dobbiamo rispettare i protocolli, sennò rischiamo di tornare indietro. E per aiutare i cittadini ad intraprendere la giusta direzione, gli scienziati devono fare come un buon "nonno di famiglia": non si mette ad evocare incubi, a teorizzare l'impatto di varianti, non fa il catastrofista, ma consiglia il nipote per il meglio. E il nipote lo ascolta e agisce di conseguenza. Oggi ci sono i vaccini, le terapie, non è più come prima».

 

 

A proposito dei vaccini, come sta andando secondo lei la campagna?
«Il piano vaccinale sembra stia andando nel modo giusto, in direzione del potenziamento auspicato. Le regioni stanno ottenendo buoni risultati. E questo vuol dire un ritorno progressivo alla vita, come dimostra il caso di Israele. Il vaccino è lo strumento principe, non l'unico ma il più importante, per uscire dalla pandemia. I sieri abbattono quasi completamente la mortalità e la possibilità di contagio. Il numero di quanti, pur vaccinati, sono risultati contagiati molto basso. Spesso si tratta di asintomatici e, come noi abbiamo verificato in laboratorio, hanno una bassa carica virale e sono probabilmente anche poco contagiosi. Questo, però, ci dà un piccolo rammarico».

Quale?
«Avremmo dovuto spingere anche prima sulle vaccinazioni, ci sono stati troppi balbettii, specie a livello europeo. Francamente non capisco come alcuni commissari europei possano non rinnovare contratti».

Si riferisce all'annuncio su Astrazeneca
«Si. E peraltro, quando si muove una iniziativa del genere, sarebbe opportuno spiegare ai cittadini il perché lo si fa, non limitarsi semplicemente all'annuncio. Così, si finisce per disorientare ancora di più i cittadini».

E c'è una conseguenza da tutto questo. Ossia che si è costretti a posticipare la seconda dose di Pfizer a 42 giorni. Lei cosa ne pensa?
«Se bisogna vaccinare quante più persone possibile, bisogna raggiungere l'obiettivo in base agli strumenti che si ha a disposizione. Se l'azienda dice che è possibile fare la seconda dose a 42 giorni, così come lo dice l'Ema, allora va bene. In ballo c'è la possibilità di raggiungere il maggior numero di cittadini anche con una sola dose. Una decina di giorni in più non cambia nulla, non avvitiamoci in questo loop».

 

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