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Farmaci in gravidanza, aumentare la ricerca per ridurre i rischi

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Negli ultimi anni sta aumentando considerevolmente l'uso dei farmaci in gravidanza. Circa il 50-70% delle donne riferisce, infatti, di aver fatto uso di almeno un farmaco durante la gestazione, soprattutto durante il primo trimestre. Tali farmaci vengono utilizzati sia per un evento acuto che per condizioni croniche preesistenti. Il problema è che in entrambi i casi l'uso materno dei medicinali espone il nascituro ad un potenziale rischio di effetti tossici e teratogenici. Tutto questo accade perché, nella maggioranza dei casi, i farmaci in sperimentazione non sono testati su donne in gravidanza o allattamento.

Per questo Virginia Rasi, medico e assistente ricercatore presso l'University College of London, sottolinea l'urgenza di includere le donne in gravidanza nei trials clinici. "La totale esclusione delle donne in gravidanza - scrive Virginia Rasi nel suo editoriale - genera un grossissimo gap di conoscenze sulla reale sicurezza ed efficacia dei farmaci. Di conseguenza, molto spesso, gli effetti tossici o teratogenici o di ridotta efficacia dei farmaci utilizzati in gravidanza vengono rilevati solo dopo anni di uso nel mondo reale. Escludere le donne in gravidanza dalla ricerca non fa altro che perpetuare il rischio".

L'unica difesa contro i rischi è l'inclusione delle donne in gravidanza nei trials clinici. "Escludere donne in gravidanza dalla ricerca non rimuove il rischio - conclude Virginia Rasi - semplicemente lo sposta da un contesto estremamente ben controllato, come avviene nei trials clinici, ad un contesto molto meno controllato, come avviene nell'ambiente ospedaliero/ambulatoriale. Il che, in conclusione, porta ad un vero e proprio uso "off-label" della stragrande maggioranza dei farmaci usati in gravidanza".      

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