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Lo ammette pure Crisanti: il coprifuoco serve a poco. Ma allora perché insistono?

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Gli strenui difensori del coprifuoco alle 22 tutti i costi si inerpicano in acrobatici equilibrismi per difendere una norma sempre più inaccettabile a oltre un anno dall'inizio del Covid. «Il virus si trasmette alle 8 di mattina così come alle 10 o alle 11 di sera», arriva ad ammette il virologo Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova, intervenendo in collegamento ad Agorà su Rai3 lunedì 10 maggio. 

 

Ma - c'è sempre un ma - siccome «più ci si incontra e più aumenta la probabilità di trasmissione» di Covid-19, «con il coprifuoco si dà un piccolo contributo al controllo dell’Rt». E impatti sull’Rt «anche piccoli», derivanti dalle diverse misure, «se sommati insieme ci aiutano a uscire da questa situazione prima possibile». Quindi la regola in sé del divieto di uscire dalle 22 sembra non avere altra ragione che una generica volontà di limitare gli spostamenti anche se il virus circola, eccome, la mattina sui mezzi di trasporto, per dirne una. 

 

 «Io capisco le difficoltà a comprendere il problema del coprifuoco», riconosce Crisanti. Ma il punto, precisa, è che «la trasmissione è esclusivamente un problema di probabilità: più ci si incontra e più aumenta la probabilità di trasmissione». Quindi «ogni azione conta - insiste l’esperto - Conta indossare la mascherina, conta il distanziamento, conta evitare assembramenti e conta sicuramente la probabilità di incontrarsi in condizioni non protette per più ore». 

 

Però la tendenza dei dati è positiva. «Non c’è dubbio che la dinamica dei decessi riflette l’effetto delle vaccinazioni. Sicuramente» anche in Italia «siamo di fronte a una diminuzione significativa della letalità, che certamente è da attribuire alle vaccinazioni fatte nelle Rsa e tra gli anziani» dice il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova. «Che il vaccino funziona non ci sono dubbi - aggiunge - Dobbiamo soltanto cercare di vaccinare più persone possibili, facendo correre loro meno rischi possibili».

 

Detto questo, per Crisanti non bisognava riaprire quel poco che il governo di Mario Draghi ha riaperto come i bar e i ristoranti solo all'aperto e fino alle 22. «È ancora troppo presto» per valutare gli effetti delle riaperture sull’andamento di Covid-19 in Italia. Ma «questa è una corsa tra la vaccinazione e il virus». Per questo «penso che, se avessimo aspettato un paio di settimane in più, non mesi ma 2-3 settimane, probabilmente la dinamica sarebbe stata più favorevole». «Noi dobbiamo guardare i dati di Israele e Inghilterra, che ci dicono che con il vaccino se ne può uscire. Allora perché far correre un rischio inutile a persone fragili per non aspettare 2-3 settimane? Non si trattava di aspettare mesi, ma 2-3 settimane - ripete Crisanti - e arrivare in una situazione di sicurezza».

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