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Il silenzio del ministro Giorgetti sul polo per produrre in Italia il vaccino

Francesco Storace
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Se l’Unione Europea prenota quasi 2 miliardi di vaccini da Pfizer, vuol dire che siamo di fronte ad una svolta nel contrasto alla pandemia. Che si prevede diventi endemica, che ogni anno ci si debba vaccinare per non farsi pizzicare. Ulteriore considerazione: se la prospettiva è quella annuale, non si può più indugiare sulla produzione nazionale di vaccini. Perché sarebbe folle stare appresso alle carenze a gettone delle varie aziende multinazionali. Tempo addietro sembrava che l’Italia si incamminasse lungo questa strada, un polo vaccinale nostro per poter produrre rapidamente i sieri autorizzati. Ne aveva parlato il ministro per lo sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, ma poi – dopo lo stanziamento di 200 milioni di euro nel decreto sostegni – non se ne è saputo più nulla. Al ministero tutto tace, come se ci fosse qualche intoppo non noto. Lo stesso ministro, più taciturno del solito, non ne parla. Idem il suo staff, come se ci fosse chissà quale esigenza di riserbo. Al ministero dello sviluppo si sono svolte ben quattro riunioni, ma fino alla fine di marzo. Poi, non si è saputo più nulla. Tavoli su tavoli per la fortuna dei falegnami, discussioni che durano sessanta minuti con le aziende che si dicono disponibili a produrre in Italia i vaccini anti Covid. E poi? Entro quando? Con quali costi? Basteranno gli stanziamenti? Ci sarà un indotto per le aree territoriali di produzione?

 

 

Purtroppo al Mise ancora non si riesce a delineare un quadro di risposte. Per adesso si sa che sono quattro le aziende pronte a produrre direttamente o per conto terzi. Il che vorrebbe dire, in caso di avanzamento dei progetti, che l’Italia potrebbe competere fattivamente con i partner europei per l’attrazione di investimenti. E guadagnarsi l’autosufficienza vaccinale. Ma l’assenza di informazione non aiuta ad essere ottimisti per il futuro. Il che rischia di provocare ulteriori stress ad un popolo già abbastanza esasperato per la pandemia. Ad ogni riunione ci sono impegni, promesse, ma non si comprende la tempistica. Tanto più che occorre anche un segnale concreto di disponibilità dei gruppi che posseggono i vaccini già autorizzati a trasferirne la tecnologia. E qui è ancora l’Unione Europea che deve fare da garante. Il commissario di Bruxelles delegate ai vaccini, Breton, lo ha promesso a marzo, ma risultati effettivi non sono ancora visibili.

 

 

E incuriosisce anche quella che era stata affermata come la necessità “di mantenere il massimo riserbo sulle aziende che hanno manifestato la loro disponibilità”. Che cosa c’è di così misterioso? L’8 marzo scorso proprio Giorgetti aveva firmato meritoriamente un decreto ministeriale per liberare 200 milioni di euro per interventi di ricerca e riconversione industriale per la produzione dei vaccini. Fondi da affiancare alle risorse previste nel decreto sostegni per la creazione del “Polo per la vaccinologia e farmaci biologici”. Si è cominciato a spenderli? Nelle scorse settimane era trapelata la notizia di un’iniziativa per la produzione di un vaccino in Italia da parte della Patheon Thermo Fisher, che ha sedi a Monza e Ferentino. E anche da parte del gruppo biothech Reithera di Castel Romano. E ancora più recentemente sulla stampa sono affiorati nomi di altre aziende italiane disponibili per la produzione. Non si comprende se per conto proprio o con l’aiuto del Ministero per lo sviluppo, visto che si parlava di riserbo. Prima o poi ce lo diranno…

 

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