Un milione e mezzo di poveri dopo la pandemia. Il rapporto choc sul lavoro Censis-Ugl
In Italia sono 1,5 milioni i lavoratori poveri, in dieci anni 84 per cento in più, 690 mila in più in termini assoluti. È uno dei dati che emerge dal rapporto di Censis e Ugl dal titolo «Tra nuove povertà e lavoro che cambia: quel che attende i lavoratori oltre il Covid-19», presentato in occasione del primo maggio per la festa del lavoro. L’indagine parla di «un vero e proprio boom di nuova povertà da retribuzioni insufficienti», segnalando in particolare che nel decennio sono triplicati i lavoratori in proprio poveri: +230 per cento per il mondo di partite Iva a basso potere contrattuale. Segna +75 per cento l’incremento di operai poveri, a cui si aggiunge l’impennata di povertà alta di quadri e impiegati (+113 per cento).
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Secondo il rapporto, sono 2,9 milioni le persone componenti di famiglie povere in cui almeno una persona è occupata: c’è una quota di povertà generata o almeno non ammortizzata dalla scelta e possibilità dei loro membri di lavorare. Il lavoro tradisce la sua promessa: non emancipa più dalla povertà tutti i lavoratori. Guardando all’effetto pandemia, Censis e Ugl evidenziano che nel 2019-2020 gli occupati poveri segnano +269mila unità (+22 per cento). Tra i lavoratori in proprio i poveri sono aumentati del 48 per cento e tra gli operai del 22 per cento. «Come emerge dal Rapporto che abbiamo realizzato con il Censis, il mondo del lavoro è in continuo cambiamento e soprattutto in questo anno di pandemia i lavoratori sono stati costretti ad adattarsi ai mutamenti, a volte drammatici, che hanno creato sacche preoccupanti di povertà - spiega il segretario generale dell’Ugl Paolo Capone -. I cittadini necessitano di risposte concrete, il tessuto produttivo del nostro Paese ha bisogno di credito e liquidità per uscire dalla crisi. In tal senso, i fondi contenuti nel Recovery plan rappresentano un’opportunità storica per la ricostruzione economica del Paese».
Per il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, «il pericolo maggiore per l’economia e la società italiana in questa fase è la letargia di troppi italiani, che sembrano voler restare rintanati in se stessi in una sorta di trance. Per incoraggiare lo sviluppo e andare oltre i disagi di questo periodo, come in altre fasi difficili, conteranno non tanto i piani superfinanziati, ma la vitalità ottimista inscritta nella chimica ordinaria della vita sociale, nella ritrovata quotidianità delle persone e delle comunità».