intervista
"Non abbiate paura" Giorgio Palù: il vaccino non uccide ma protegge dal virus
I vaccini, la comunicazione necessaria, i timori degli italiani. Abbiamo intervistato il professor Giorgio Palù, virologo, chiedendogli di spiegare agli italiani alcune cose fondamentali sui vaccini dal punto di vista medico-scientifico (declinando egli di entrare, in quanto membro del Cts e presidente dell’Aifa - l’agenzia italiana del farmaco - in considerazioni politiche circa l’attualità).
Professore, perché è importante farsi il vaccino?
«Perché i vaccini sono in grado di prevenire, oltre alla malattia, anche l’infezione neutralizzando l’agente patogeno. Sono un grande strumento di prevenzione specie in un momento come l’attuale in cui ancora non abbiamo, a parte gli anticorpi monoclonali, farmaci specifici anti-SARS-CoV-2. E come ricordava Bernardino Ramazzini, chiamato nel 1700 all’Università di Padova a ricoprire la seconda cattedra di medicina teorica, "prevenire è meglio che curare". I vaccini ogni anno salvano circa 2,5 milioni di vite umane. Sarebbe fondamentale che avessimo vaccini per malattie pandemiche come l’AIDS, la malaria, la tubercolosi, che uccidono alcuni milioni di persone all’anno, ancor più di questa pandemia da SARS-CoV-2, ma non li abbiamo. E vorrei ricordare agli italiani che la spettanza di vita media dell’uomo è significativamente cresciuta grazie ai vaccini. La vita media ai primi del Novecento, anche negli Stati Uniti, era intorno ai 50 anni e si moriva principalmente, in circa il 50% dei casi, per malattie infettive di cui ormai abbiamo perso il ricordo: difterite, tetano, morbillo, poliomielite, rosolia congenita, pertosse. Quindi ci sono ottime ragioni per vaccinarsi, se consideriamo che oggi esistono almeno una trentina di malattie che sono prevenibili grazie ai vaccini, che vengono somministrati 3 milioni di dosi di vaccini al giorno e che i vaccini sono i farmaci meno costosi e più sicuri».
Che differenze ci sono tra i diversi vaccini?
«Se vogliamo parlare dell’esempio del SARS-CoV-2, il virus che causa la malattia COVID-19 ed in genere dei vaccini antivirali, ebbene abbiamo a disposizione tutte le piattaforme tecnologiche che sono state utilizzate da Jenner (lo scopritore del vaccino contro il vaiolo, 1796), Pasteur, Salk, Sabin, Hilleman fino ad oggi ed usate in campo infettivologico ed oncologico. Esse si basano su virus inattivati, virus vivi attenuati, proteine ricombinanti, DNA plasmidico, vettori virali geneticamente depotenziati e mRNA, la tecnologia questa più recente ed evoluta che, basata sulla biologia sintetica, ha permesso di avere a disposizione il primo allestimento vaccinale anti-COVID-19 a distanza di 7-10 giorni dalla pubblicazione della sequenza del genoma virale».
Ci sono vaccini più o meno adatti ad una persona?
«Per dire quanto un vaccino sia adatto ad un individuo dobbiamo rifarci alla fisiologia umana ricordando che, già a partire dai 12-15 anni, sicuramente dai 18 anni, il nostro sistema immunitario va incontro ad una lenta ma progressiva senescenza. Il sistema immunitario di un adulto diventa cioè meno pronto rispetto a quello di un adolescente o di un bambino a rispondere efficacemente agli insulti di agenti esterni quali virus e microrganismi o interni quali danni occorsi a nostre cellule o tessuti. Quindi, in un anziano, la risposta ad un vaccino come ad un’infezione naturale può essere inferiore a quella di un bambino, di un adolescente o anche di un giovane adulto, motivo per cui l’anziano deve essere vaccinato con priorità. Per questo motivo in alcune circostanze i vaccini vengono integrati con delle sostanze che aiutano il sistema immunitario (adiuvanti) o diventa necessario fare uno o più richiami, per evocare una forte memoria immunologica. Oltre alla capacità di risposta immunologica, bisogna anche valutare se un vaccinando versi in condizioni patologiche, e non fisiologiche come l’età, tali da mettere a rischio l’efficacia o la sicurezza del vaccino. Soggetti con immunodeficienze genetiche, infettive (AIDS), neoplastiche, iatrogene, per esempio pazienti sottoposti a trapianto, chemioterapia o soggetti dializzati, o affetti da patologie croniche (diabete, malattie respiratorie e cardiovascolari) dovrebbero essere vaccinati prima di altri perché a maggior rischio di eventi gravi se contraggono COVID-19. Parimenti, andranno attentamente valutati i rischi/benefici della somministrazione dei diversi vaccini in soggetti affetti da patologie autoimmuni gravi, allergie importanti, o donne in gravidanza o in fase di allattamento. Tutto ciò sulla base delle indicazioni degli Enti regolatori che hanno autorizzato l’uso dei vaccini. In genere però si può tranquillamente affermare che tutti i vaccini anti-COVID-19 attualmente autorizzati si sovrappongono per efficacia e sicurezza».
Ci sono alcuni interrogativi che la gente comune si pone sui vaccini. Gli effetti collaterali in che percentuale esistono?
«La gente si è sempre posta problemi sui vaccini. In una condizione di malattia, quando si è affetti da un mal di pancia, un mal di testa, una polmonite, solitamente non ci si pongono dubbi se sia bene prendere o meno un farmaco che faccia passare il malessere; diversamente le domande e i dubbi vengono sollevati, anche con toni allarmistici, nel caso dei vaccini in quanto si tratta di sostanze che vengono somministrate quando l’individuo è in stato di completo benessere. Quindi, venendo al vaccino attuale, gli effetti avversi possono essere vari, anche abbastanza comuni: effetti locali, come gonfiore, dolore, arrossamento nel sito dell’inoculazione o effetti sistemici, quali febbre, cefalea, malessere, artralgia, tipici però di tutti i vaccini. Rarissimi sono effetti quali paralisi del facciale (Sindrome di Bell), mielite trasversa (sindrome di Gauillain-Barré), anafilassi (peraltro in soggetti già affetti), manifestazioni anch’esse presenti dopo somministrazione di altri vaccini ma molto più frequenti in corso di infezione naturale da agenti virali o batterici. Nessun evento letale è stato finora ricondotto su base documentale alla vaccinazione anti-COVID-19».
E il rischio di mortalità?
«Non esiste».
Non sono stati testati per un periodo troppo breve i vaccini per il Covid-19?
«No. Hanno seguito tutte le fasi della sperimentazione clinica. La prima fase, di solito quello che serve per calibrare la dose da somministrare, la seconda per misurare la risposta immunitaria, la terza che valuta l’efficacia clinica e la sicurezza in studi randomizzati con decine di migliaia di soggetti inoculati col vaccino in esame e con un placebo. È sulla base di questo percorso clinico, oltre che a seguito di una serie di studi preventivamente condotti nell’animale e una volta verificata la qualità e costanza del prodotto, ispezionati gli impianti e le procedure di produzione che le Agenzie regolatorie autorizzano l’uso sull’uomo del vaccino. Non si è saltata nessuna fase ma si è solo concesso alle industrie farmaceutiche da parte delle autorità regolatorie di presentare una analisi ad interim man mano che gli studi clinici procedevano. Non si è quindi atteso che l’industria preparasse tutto il dossier alla fine delle fasi previste dagli studi validativi ma si è condotta una rolling review man mano che i dati venivano acquisiti. Tutto ciò tenuto conto della gravità e della velocità di diffusione della pandemia. Alla fine le principali agenzie regolatorie hanno rilasciato due tipi di autorizzazione: una di tipo emergenziale (FDA americana) e un’altra sub conditione (EMA, Europea), sottoposta cioè ad una continua sorveglianza dei rischi/benefici man mano che procedeva la campagna vaccinale di massa. Tutto per la massima tutela dei soggetti che si vaccinano e nel superiore interesse della salute pubblica».