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Astrazeneca, il sospetto della lotta commerciale dietro il blocco del siero di Oxford

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Andrea Amata
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Oggi probabilmente l'Agenzia europea del farmaco (Ema) darà l'ok alla prosecuzione della somministrazione del vaccino AstraZeneca. Il siero angolo-svedese è stato sospeso in via precauzionale dopo che sono affiorati isolati, e statisticamente irrilevanti, casi avversi. A spingere i paesi europei verso la temporanea interruzione dell'impiego di AstraZeneca è stata la Germania che, dopo aver riscontrato 3 eventi mortali su 1,6 milioni di dosi inoculate, ha abbracciato la linea della precauzione nonostante la comunità scientifica concordasse sulla rarità delle complicazioni. Non vorremmo che l'eccesso di prudenza della Merkel fosse condizionato dal tangibile conflitto di interessi, conseguente al finanziamento di 400 milioni di euro erogati dal bilancio pubblico in favore della tedesca BioeNTech che è partner dell'americana Pfizer nello sviluppo del vaccino contro il Covid-19. Peraltro, AstraZeneca ha un prezzo molto concorrenziale di 2 euro a dose rispetto ai 12 euro di Pfizer.

Dunque, ammantare il prodotto inglese della patina dell'inattendibilità scientifica può provocare un effetto negativo sulla sua reputazione a vantaggio dei Pharma che producono vaccini molto più costosi. La Germania ha già dimostrato di operare fuori dal quadro unitario europeo con l'acquisto di 30 milioni di dosi supplementari fuori dal piano dell'Ue, negoziando accordi bilaterali con la BionTEch e così venendo meno al patto di solidarietà europea. Può maturare il sospetto che alla sospensione del vaccino anglo-svedese sia sottesa una strategia "commerciale" funzionale a speronare un prodotto competitivo, corrompendone la brand reputation. Mentre si inceppa la campagna di vaccinazione, il totalizzatore della mortalità per mancanza delle dosi scorre inesorabilmente con l'incremento della pressione sulle strutture sanitarie. Con la diffidenza generata nella popolazione sull'impiego del vaccino AstraZeneca si rischia di provocare un effetto di "esitazione vaccinale", aggiungendo al danno della carenza del salvifico siero la beffa di una volontaria astensione al suo utilizzo.

Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, a cui si addebitano le inadempienze contrattuali delle case farmaceutiche che stanno arrecando pregiudizio nell'approvvigionamento dei vaccini, ieri in conferenza stampa ha dichiarato con tono perentorio: «Siamo pronti a usare ogni strumento per arrivare all'obiettivo di vedere reciprocità e proporzionalità nelle esportazioni dei vaccini e fare in modo che l'Ue ottenga ciò che le spetta». La von der Leyen ha aggiunto: «L'Unione europea ha esportato 41 milioni di dosi a 33 Paesi. Ma vogliamo vedere reciprocità. Non sta tornando indietro nulla all'Ue. Se la situazione non cambia dovremo valutare se permettere le esportazioni verso Paesi che producono vaccini e rendere dipendenti queste esportazioni dal loro livello di apertura».

Nelle parole del numero 1 della Commissione risuona la linea di rigore già applicata dal premier Mario Draghi che agli inizi di marzo bloccò l’invio di 250mila dosi di AstraZeneca infialate nello stabilimento italiano di Anagni all’Australia, introducendo un principio di buon senso: impedire l’export di vaccini finché le forniture al nostro Paese non si allineino alle quantità pattuite dai contratti. L'Europa doveva essere la soluzione alla crisi pandemica, ci si augura che, dopo le iniziali disfunzioni, recuperi una definitiva iniziativa, agevolando l'implementazione di una strategia vaccinale di massa senza più ritardi ed esitazioni.

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