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Attenti: non potete rifiutare il vaccino in azienda. L'avvertimento dell'avvocato

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Lavoratori in guardia: se rifiutate il vaccino l'azienda potrebbe farvi passare i guai. Lo spiega l'avvocato giuslavorista Giuliano Cazzola, dopo che molte associazioni imprenditoriali a partire da Confindustria si sono rese disponibili alle vaccinazioni dei dipendenti. Ma le aziende potranno imporre l'iniezione? «È più corretto dire che le aziende potranno esigere che il dipendente si sottoponga a vaccinazione come adempimento ad un obbligo inerente al rapporto di lavoro», spiega ad Adnkronos Cazzola, esperto di relazioni industriali.

«Mi spiego meglio: a mio avviso - prosegue Cazzola - tutto discende dall’aver voluto attribuire (nel decreto Cura Italia) al contagio da Covid-19 contratto "in occasione di lavoro" (e quindi anche in itinere) la fattispecie dell’infortunio sul lavoro equiparando la "causa virulenta" alla "causa violenta" necessaria per qualificare l’infortunio stesso. È stata una forzatura aver esteso le tutele necessariamente riconosciute al personale sanitario agli appartenenti a tutti settori assicurati all’Inail. L’infortunio sul lavoro si porta appresso, in caso di gravi danni o di decessi, una responsabilità penale del datore se si accerta che non ha provveduto a mettere in sicurezza il proprio dipendente».

«Una responsabilità secondo quanto previsto dall’articolo 2087 Codice civile - dettaglia Cazzola - che è definito "una norma di chiusura". Leggiamolo insieme: ’L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro"», cita Cazzola.

«È chiaro che l’ambito di responsabilità del datore non è limitato all’osservanza di quanto prevedono le norme di volta in volta vigenti (che non vengono neppure richiamate nell’articolo) in materia di sicurezza del lavoro - commenta il giuslavorista - il confine è quello, tanto ampio da essere vago, mobile e imprevedibile, della "esperienza" e della "tecnica". In sostanza l’imprenditore spesso non sa come regolarsi. Pensi al caso dell’esposizione all’amianto: la lavorazione e l’uso di questo materiale killer sono stati proibiti solo nel 1992, ma tanti imprenditori sono stati chiamati a rispondere di un uso fatto in precedenza che, peraltro, era previsto nei capitolati di appalto». Una situazione che ha preoccupato il mondo dell’impresa «tanto che - ricorda Cazzola - il legislatore ha modificato il tiro (la preoccupazione per le possibili conseguenze era stata segnalata anche nel rapporto Colao) nel successivo decreto Liquidità stabilendo che i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure di tutela e prevenzione concordato con le parti sociali».

Tutto a posto allora? «Sì, ma questo è un modo di passare la palla alle parti sociali che, in presenza di un fatto nuovo, proprio perché le loro intese sono recepite dalla legge, hanno il dovere di fornire delle indicazioni precise», risponde Cazzola. Ma le parti sociali anche se si accordano, conclude Cazzola «non hanno la disponibilità di attribuire carattere di volontarietà ad una somministrazione tanto importante per la salute individuale, comunitaria e pubblica. Perché l’imprenditore potrebbe sempre essere chiamato in causa ex articolo 2087 C.C. essendo l’obbligo della sicurezza tutto suo, dal quale non può sottrarsi dicendo che si è accordato così con i sindacati o che il lavoratore si è sottratto (ovviamente salvo giustificato motivo che dovrebbe essere definito nei protocolli). Le procure sono in agguato e gli imprenditori hanno ragione a non fidarsi». 

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