Il giudice che processa Salvini si fa aprire il ristorante. "Ma è solo un pranzo..." Così viola il lockdown
Tra le pieghe del racconto di quest’Italia mezza reclusa, tra privazioni e rinunce, vita sociale pressoché annullata c’è sempre spazio per un capitoletto alla Totò, piccole storie che però diventano grandi – e simboliche - stanti il contesto e la caratura dei protagonisti. Siamo al 28 gennaio e il Lazio è in zona arancione, ciò vuol dire niente ristoranti e bar aperti, neanche la mattina se non per l’asporto. Data questa premessa, ecco la storia ricostruita da uno scoop delle Iene che i telespettatori potranno guardare oggi, in prima serata su Italia 1.
A Roma arriva il giudice Nunzio Sarpietro. È il gup del processo per la nave Gregoretti, quello che vede al momento Matteo Salvini indagato per sequestro di persona. Nonostante il pm abbia chiesto per due volte l’archiviazione nei confronti del leader della Lega, Sarpietro ha ritenuto di sentire tutti i ministri coinvolti nel caso. Oltre a Salvini, ovviamente. Così, ha ascoltato Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta. Così il 28 gennaio, appunto, è la volta dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Sarpietro ne raccoglie le dichiarazioni e poi esce su piazza Colonna abbandonandosi ad una mini conferenza stampa poi molto dibattuta, per il fatto che in piena crisi di governo, e con il suo ruolo, aveva incensato Conte di «rappresentare molto bene l’Italia».
Finito? No, perché c’è un altro capitolo, che non riguarda la Gregoretti ma diventa di pubblica rilevanza. L’inviato de Le Iene Filippo Roma individua Sarpietro che lascia il cuore politico della Capitale per planare in un rinomatissimo ristorante di pesce. Nonostante, sottolineiamo di nuovo, fosse vietato dalle rigide disposizioni del governo. Roma entra nel locale e individua il giudice seduto in tavola, nel locale vuoto, con la figlia ed un altro giovane. Il dialogo che segue è da commedia.
«Giudice! - esordisce la “iena” - se proprio lei con i ristoranti chiusi in tutta Italia, in piena pandemia, sta al ristorante a mangiare...» E l’altro, sorpreso: «Guardi io sono qua con mia figlia». Alle rimostranze del giornalista, replica: «L’unico posto in cui potevo stare con lei in un momento tranquillo. E non è minimamente, non c’è niente guardi...». Il confronto continua, e Roma gli chiede un commento sul fatto che magari molti italiani (giustamente) vorrebbero andare a pranzo o a cena con i famigliari in zona arancione ma non lo fanno. «Guardi - replica Sarpietro – io sono in zona rossa in Sicilia, non vado a pranzo fuori da una vita e sono un povero disgraziato che non riesce a vedere tantissimi amici che tra l’altro ho perso con la pandemia». Poi, dopo altri scambi, arriva la domanda delle domande. «Non è grave - chiede Roma - che un uomo di legge sia il primo a non rispettare la legge?». Sarpietro risponde: «No, non è un rispetto della legge e se c’è una contravvenzione, se mi fa una contravvenzione la pago, era previsto anche così». E ancora, con la Iena che incalza: «Guardi, non è che posso trovarle delle scuse o delle giustificazioni particolari, è una situazione in cui, ripeto, per vedere mia figlia e tutto qua, poi per il resto se ho sbagliato, ho sbagliato, lo ammetto, confesso, ma questo non porta nessun tipo di problema su come uno fa il magistrato, mi creda».
Peraltro, il giudice aveva anche provato a sminuire la portata del pranzo: «C’è solo un goccino di vino e tre piatti freddi». Il dialogo, poi, si sposta sul ristoratore, Stefano Chinappi, dell’omonimo locale: «Ho fatto sedere tre persone perché qua è insostenibile andare avanti», ammette con tutto il dolore sulle spalle di un anno di chiusure e crollo del fatturato. E poi racconta, il ristoratore come in realtà il pranzo fosse un po’ più complesso di «un goccino di vino e tre piatti freddi». Infatti «gamberi gobbetti, palamita, gamberi rossi e scampi». E altro. Dunque, dice il ristoratore a Filippo Roma: «Che poi mi faranno pure la multa sicuro, sono 4 mila euro, capito? Per 200 euro». Ma la ciliegina di colore viene ora: «Lo sai come mi hanno prenotato?» prosegue «come promessa di matrimonio! La figlia si sta sposando, penso, che ne so io, tre persone, le ho messe dentro... hai capito?».
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Ma la chiusura del dialogo è forse quella che graffia il cuore: «Sono tre persone e io per 200 euro ho rischiato, rischio, perché adesso 200 euro sono soldi veri per pagare i miei dipendenti». Difficile moralizzare su un ristoratore in crollo di fatturato. Un po’ più facile su un magistrato che viola la zona arancione.